31 marzo 2009

La disgustosa aggressione a Benedetto XVI

Di Giuliano Ferrara
L'aggressione a Benedetto XVI è sempre più incalzante, grossolana, astiosa, ben orchestrata mediaticamente e male argomentata razionalmente. Ieri è stata la volta di Francia, Germania e Fondo monetario internazionale. Con un linguaggio tronfio e censorio, portavoce di Parigi, di Berlino e del Fmi di Washington hanno messo sotto accusa il capo della chiesa cattolica per le sue opinioni ben documentate sull'inutilità sostanziale del preservativo come asse strategico della lotta contro la grave epidemia di Aids in Africa.
Parliamo di burocrazie, naturalmente, non di popoli. Burocrazie e diplomazie che si mettono al servizio di piccole ma insidiose crociate ultrasecolariste contro un Papa che ha avuto la sfacciataggine, come il suo predecessore, di impugnare la ragione per affermare nello spazio pubblico europeo e mondiale il contenuto e il significato della fede cristiana, una fede che assume alcuni principi liberali del tempo moderno senza sottomettersi alla sua deriva nullista. E contro un Papa che ha avuto la sapienza di impugnare la ragione occidentale ovvero il deposito laico del migliore illuminismo cristiano nel momento in cui un postmodernismo banale delegittima la nozione di verità ed esorcizza la realtà anteponendole una falsa coscienza del soggetto, un'ideologia settaria e al fondo estremamente intollerante.
Stavolta è in nome della difesa della vita che muovono all'attacco i portavoce istituzionali di una cultura i cui pilastri etici globali sono gli spermicidi, l'aborto moralmente indifferente, la pianificazione familiare coatta del sesso dei nascituri, la selezione eugenetica della vita e la sua riproduzione artificiale come mezzo a scopo di ricerca, fino all'eutanasia. Si lamentano perché Benedetto XVI ha riaffermato, nel corso del viaggio in Africa, la sua convinzione: non è con i profilattici che si combatte la pandemia dell'Aids. Questa convinzione, che alla luce del senso comune regge ogni possibile prova e verifica, dal momento che il preservativo è solo il viatico della promiscuità sessuale di massa alla quale risale la responsabilità del contagio, è notoriamente condivisa in Africa dalla grande maggioranza degli operatori sanitari e sociali, non solo nella vasta rete missionaria cattolica o cristiana di altre denominazioni, ma anche tra i laici.
Tutti sanno quel che molti non si azzardano a ripetere in pubblico per timore di essere sanzionati e ostracizzati come eretici del pensiero unico dominante: tutti sanno, come ripreso in un lancio della Bbc appena due giorni fa, che il tasso di infezione di Washington D.C., la capitale americana che ospita quei lumaconi del Fondo monetario che avrebbero ben altro di cui occuparsi, è pari a quello dell'Uganda (il 3 per cento della popolazione sopra i dodici anni), dimostrazione palese che la differenza la fanno i comportamenti a rischio e non la disponibilità dei profilattici (disponibilità universale nella città di Washington). Tutti sanno o dovrebbero sapere che tra i neri maschi il tasso di infezione è tre volte quello dei maschi bianchi e due volte quello degli ispanici, e che il vettore di contagio ancora di gran lunga più potente è il sesso promiscuo tra maschi.
La cultura politicamente corretta ha fatto dell'Aids un'epopea angelica, ha creato la malattia da adorare idolatricamente e da esorcizzare nella mistica della solidarietà, e tutto per nascondere il fatto che la sindrome da immunodeficienza acquisita è soltanto la conseguenza di comportamenti sociali nuovi e libertari, in cui una sessualità spregiudicata e avalutativa soppianta i vecchi condizionamenti "oscurantisti" della continenza e dell'amore-eros come basamento dell'agape familiare.
Chiunque la pensi diversamente viene non già messo in discussione ma irriso e censurato come retrogrado, e figuriamoci il capo di una chiesa che alla difesa della vita umana dedica il massimo delle sue energie; figuriamoci un Papa che, scandalo e follia per il pansessualismo del neopaganesimo contemporaneo, crede nell'educazione, nella sobrietà dei costumi, in una sessualità umana orientata alla costruzione di significati vitali e non alla distruzione dell'amore nella caricatura del piacere. Con grandissima boria, con infinita presunzione, con un linguaggio moralmente ricattatorio, le burocrazie che stanno al vertice delle potenze civili della vecchia Europa e le nomenclature globaliste mettono sotto accusa il Papa, dall'alto della oscena pratica di un miliardo di aborti in trent'anni, per "attentato alla vita in Africa". Un disgustoso paradosso.
«Il Foglio» del 19 marzo 2009

Cosa ha veramente detto il Papa sull'Aids e sui preservativi in Africa?

Intervista concessa dal Santo Padre Benedetto XVI ai giornalisti durante il volo verso l'Africa (17 marzo 2009)
Domanda: Santità, tra i molti mali che travagliano l'Africa, vi è anche e in particolare quello della diffusione dell'Aids. La posizione della Chiesa cattolica sul modo di lottare contro di esso viene spesso considerata non realistica e non efficace. Lei affronterà questo tema, durante il viaggio? Très Saint Père, Vous serait-il possible de répondre en français à cette question?
Papa: Io direi il contrario: penso che la realtà più efficiente, più presente sul fronte della lotta contro l'Aids sia proprio la Chiesa cattolica, con i suoi movimenti, con le sue diverse realtà. Penso alla Comunità di Sant'Egidio che fa tanto, visibilmente e anche invisibilmente, per la lotta contro l'Aids, ai Camilliani, a tutte le Suore che sono a disposizione dei malati … Direi che non si può superare questo problema dell'Aids solo con slogan pubblicitari. Se non c'è l'anima, se gli africani non si aiutano, non si può risolvere il flagello con la distribuzione di preservativi: al contrario, il rischio è di aumentare il problema.
La soluzione può trovarsi solo in un duplice impegno: il primo, una umanizzazione della sessualità, cioè un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l'uno con l'altro, e secondo, una vera amicizia anche e soprattutto per le persone sofferenti, la disponibilità, anche con sacrifici, con rinunce personali, ad essere con i sofferenti. E questi sono i fattori che aiutano e che portano visibili progressi. Perciò, direi questa nostra duplice forza di rinnovare l'uomo interiormente, di dare forza spirituale e umana per un comportamento giusto nei confronti del proprio corpo e di quello dell'altro, e questa capacità di soffrire con i sofferenti, di rimanere presente nelle situazioni di prova. Mi sembra che questa sia la giusta risposta, e la Chiesa fa questo e così offre un contributo grandissimo ed importante. Ringraziamo tutti coloro che lo fanno.
19 marzo 2009
Fonte: http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2009/march/documents/hf_ben-xvi_spe_20090317_africa-interview_it.html

16 marzo 2009

Vespasiano:la resurrezione di Roma dopo l’epoca di Nerone

di Marco Bussagli
Potrà sembrare irriverente, ma spesso la memoria storica si lega ad aspetti che sono del tutto marginali rispetto alla personalità di questo o quel personaggio. Il caso per antonomasia è quello di uno dei più grandi imperatori romani, Tito Flavio Vespasiano (69-79), il cui nome è legato a quella tassa, in apparenza bislacca e invadente, posta sui luoghi pubblici che, da allora, hanno preso il suo nome: i vespasiani. Svetonio nella sua Vita Caesarum narra in proposito un gustoso episodio, nel quale Tito rimproverò suo padre per aver tassato le urine. Allora l’imperatore prese un gruzzolo di monete, primo risultato della nuova tassa, e postolo sotto il naso del figlio, gli chiese se fosse schifato dall’odore. Al suo diniego, Vespasiano rispose: «Eppure è il prodotto delle urine» ( Divus Vespasianus XXIII). In realtà, la tassa colpiva i fullones, i lavatori di panni a pagamento, che ricavavano dagli orinatoi pubblici l’ammoniaca utile a smacchiare i tessuti. Naturalmente l’opera di Vespasiano va ben oltre questo episodio, come risulta da una splendida mostra, curata da Filippo Coarelli, sull’età dei Flavi, ma che – per vari motivi – s’incentra sulla figura dell’imperatore che di quella dinastia fu il fondatore, emarginando la famiglia dei Giulio-Claudi, ossia quella di Cesare, di Augusto e di Claudio. Il fatto è che quando una classe politica non è più in grado di governare (e abbiamo esempi recenti), finisce per creare un vuoto di potere che, inevitabilmente, viene riempito da qualcun altro. Di sicuro, Vespasiano fu abilissimo e spietato (uccise Vitellio), ma è anche vero che gli ultimi rappresentanti della classe dirigente che lo precedettero fecero di tutto per farsi scalzare dal trono. Basterà, infatti, guardare alle date di successione dei tre sovrani che presero il posto di Nerone (54-68 d.C.) per capire che qualcosa sarebbe dovuto cambiare profondamente. Galba, Otone e Vitellio indossarono la porpora imperiale e la lasciarono bagnata del loro sangue subito dopo, succedendo l’uno all’altro in due soli anni, dal 68 al 69 d.C. Non sarebbe più bastato eleggere un altro imperatore: ce ne voleva uno diverso da tutti quelli che l’avevano preceduto. Infatti, Vespasiano era differente in tutto.
Nato a Falacrinae (Rieti), nel 9 d.C., apparteneva ai ceti popolari e aveva fatto carriera nell’esercito e nell’amministrazione sotto la dinastia dei Giulio-Claudi. Era una persona pratica e concreta, come potevano esserlo, con le dovute differenze, i contadini della sua terra. Fu quasi una rivoluzione. Quest’appartenenza alla plebe e la mancanza di una particolare eccellenza (che non significa inettitudine, ma piuttosto normalità, mediocritas oraziana) rendevano il personaggio assai gradito alla gente, in netto contrasto con l’arroganza, per esempio, di un Galba che aveva affermato – almeno così si narra – essere l’impero una sorta di possedimento ereditario della famiglia. Quando cinse la corona imperiale, Vespasiano aveva ormai sessant’anni, tutti segnati sul suo viso, come appare dal bel ritratto di Copenaghen che apre la mostra. Un ritratto impietoso che lascia intuire l’assenza degli incisivi, ma pure la forza e l’arguzia di chi sa governare con decisione e intelligenza. Quando prese il potere, Vespasiano si trovò dinanzi a una Roma umiliata dagli incendi e dalle devastazioni di Nerone che non era neppure riuscito a ultimare la Domus Aurea. Per questo Svetonio ( Divus Vespasianus, VIII, IX) scrive: «…per tutta la durata del suo impero, non ritenne nulla più importante del consolidare lo Stato quasi umiliato e vacillante, e poi di abbellirlo (…) Realizzò anche nuove opere: il Tempio della Pace vicino al Foro e quello del divino Claudio sul Celio (…) inoltre l’Anfiteatro al centro della città…», il Colosseo. Nata per celebrare i duemila anni dalla nascita dell’imperatore, l’esposizione «Divus Vespasianus. Il bimillenario dei Flavi», che inaugura il 27 marzo e resterà aperta fino al 10 gennaio 2010, corredata da un ricchissimo catalogo Electa, raccoglie più di cento pezzi provenienti dai principali musei del mondo che permettono di ricostruire le gesta e le vicende della dinastia Flavia che annovera anche gli imperatori Tito (79-81), il distruttore del Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. primogenito di Vespasiano, e Domiziano (81-96) suo fratello minore. Anche le sedi espositive della mostra sono straordinarie e valgono, da sole, una visita: il Colosseo, la Curia, ossia il Senato al Foro, e il Criptoportico neroniano sul Palatino, riaperto per l’occasione.
"Avvenire" del 15 marzo 2009

05 marzo 2009

Berlino (24 febbraio 2009)

"Christana F. e i ragazzi dello zoo di Berlino" è un cult movie che non potevamo non reinterpretare, ... come sempre a modo nostro!

Restiamo impressionati dagli animali: simpatici, brutti, esotici, fantastici, impossibili. Sembrerà strano, ma, nonostante il freddo e il clima poco accogliente, alcuni animali erano presi da una certa frenesia, un certo calore interiore, un inqualificabile desiderio di mostrare slanci vitalistici: a bocca aperta osserviamo questi prodigi della natura che si concretano nello ... struzzo!

Non dimentichiamo mai l'aria di scuola, incontrando amici e ... docenti a noi molto cari, di cui sentiamo sempre un'incolmabile nostalgia.








E poi, la sera, per dare una svolta all'ultima serata berlinese, dopo la 'solita' trafila di cena e birra, ...

SIGNORI e SIGNORE!! UDITE, UDITE, il 5 F scrive la STORIA!


Berlino (23 febbraio 2009)

Visitiamo rapidamente un altro monumento simbolo della città, cioè la cattedrale distrutta dalle bombe e lasciata lì, così, senza ricostruirla, a futura memoria dell'assurdità di ogni guerra.
Qualcuno ha preferito i soliti negozi di souvenir o acquistare oggetti della squadra di calcio locale. Tutti ci siamo rivisti per farci una foto-cartolina con tutto il nostro gruppo e le migliori prospettive della città di Berlino.
Id imperitura memoria dell'epica impresa!


Inevitabile (soprattutto per le ragazze in cerca di shopping!) la 'religiosa' visita al Kadewe, il più grande centro commerciale d'Europa (così dicono loro ... ma avranno visto Parco Leonardo o quello dell'Eur?). Ci colpisce la grandezza, la estrema varietà degli articoli, ma alcuni di noi vengono rapiti dalle centinaia di dolci che fanno bella mostra di sé nelle vetrine delle 6 o 7 pasticcerie presenti. Certo, è molto meglio fare le foto che ... buttarcisi dentro come molti volevano fare!



Inutile dire che anche lì non perdiamo l'occasione di distinguerci. Marco e Spad, visto che è martedì grasso, provano alcune maschere molto belle, anche se hanno qualche difficoltà ... transgender! Diventano spadaccini, donne di malaffare, e molto altro ancora.

Ci muoviamo verso il Reichstag, che ci vede protagonisti di circa un'eroica ora di fila sotto il nevischio. Anche se poi la vista di Berlino dall'alto e le fantasmagoriche architetture degli interni ci hanno ripagato abbondantemente della fatica.
Non potevamo poi non riprenderci con una bella abbuffata sotto casa. Nella foto si vedono Francesco e Matteo abbracciati prima di addentare il cibo, ma in realtà qualcuno dice di aver avvistato ... due porci e un topo!
Anche se mancano le foto, la serata si è conclusa con una puntatina la BOOLING del luogo e con la solita birretta vicino all'albergo.
BECK'S 4 ever!

04 marzo 2009

Berlino (22 febbraio 2009)

Siamo subito in giro per la città innevata, in un'atmosfera fatata. Anche una semplice foto può diventare occasione di fare comunella con altri turisti e quindi farci riconoscere come italiani caciaroni e simpatici ...

Avviene l'incontro con l'arte del Pergamon Museumma soprattutto con l'eroe della gita, il CURRYWURST, che ci accompagnerà tutti i giorni e creando, in alcuni casi, una vera e propria dipendenza (non è vero Spad?)

Scherzi a parte, non poteva mancare una visita a quei brandelli del Muro di Berlino, che sono disseminati in molti angoli della città. Restiamo impressionati dall'assurdità congeniata dall'uomo nel 1961, spezzando in due una città che accoglieva sempre e solo cittadini tedeschi.


La serata si conclude in una Brauhaus del modernissimo Sony Center, costruito dopo il 1989 con architetture molto particolari e suggestive. E' per noi il primo incontro con l'ottima cucina tedesca, composta da un piatto unico e abbondante, in cui convivono carni di ottima qualità e di ogni tipo, salsette appetitose (vero, Bacca?), e le immancabili Kartoffeln.

Berlino (21 febbraio 2009)

La partenza è fissata per il pomeriggio di sabato 21 febbraio 2009.
Alcuni temerari della quinta F giungono sulle nevi tedesche dell'aeroporto di Schoenefeld, dopo strani incontri avvenuti in aereo.






Ci sono circa 5°, ma l'entusiasmo è tale che neanche li sentiamo.
Di corsa all'albergo, visto che ormai sono le 21.00.

Gute Nacht!