01 luglio 2008

Novus illuminismus adveniens

di Ettore Gotti Tedeschi
Cari lettori, ricorderete che i maggiori difensori del crocefisso sono stati non credenti e agnostici neo illuministi, preoccupati per la troppo tiepida reazione del mondo cattolico. Cosa li preoccupa è facile capirlo: dopo 200 anni sono riusciti a trasformare la fede cristiana in poco più di un’etica sociale ed ora temono di dover fronteggiare un fondamentalismo integralista che possa minare le conquiste della “ragione” sulla religione-superstizione.
Se così non fosse, perché questi intellettuali, che hanno riconosciuto nel crocefisso valori culturali fondamentali della nostra civiltà, non hanno con altrettanto zelo difeso l’inserimento nella Costituzione europea del richiamo alle radici cristiane?
In un articolo su Repubblica del 9 settembre, C. Rinaldi sostiene alcune tesi che meritano di esser ricordate. La prima è che i valori illuministici di libertà, uguaglianza e fraternità, si sono affermati con la rivoluzione francese e non grazie alle chiese, anzi fuori e contro di esse. La seconda è che le chiese europee (anglicane, protestanti, cattoliche, ortodosse), che fra di loro non vanno d’accordo, non sono un buon esempio di radici comuni. La terza riguarda il cattivo esempio della Chiesa durante l’inquisizione spagnola, e del papato contro i diritti umani (pena di morte) e contro il liberalismo e il risorgimento. E così via.
Ora io lascerei a Samek Lodovici il compito di difender gli ideali cristiani di uguaglianza, fraternità e libertà, ricordando solo quante teste “uguali, fraterne e libere” sono cadute sotto la ghigliottina. Non scoccio Cammilleri invitandolo a raccontare ancora una volta le menzogne sull’inquisizione, o Angela Pellicciari a rispiegare i “misteri” del Risorgimento, ma sottolineo che furono proprio illuministi e marxisti a riscrivere la storia per “dimostrare” che con il loro progresso si interrompe il bisogno di fede cristiana. E la storia dovevano proprio riscriverla visto che storicamente scienza e progresso crescono e si divulgano proprio grazie al cristianesimo.
Intervistato dal Corriere il 4 novembre, l’oncologo Veronesi afferma l’esigenza di un nuovo illuminismo per l’uomo che non deve più pensare che la vita abbia un senso soprannaturale. Veronesi crede che il dolore allontana da Dio e lamenta che “l’illuminismo sembra oggi esser quasi considerato morto, che il pensiero razionale debba cedere alla superstizione, al miracolismo, ai valori esclusivamente soprannaturali. Questo atteggiamento è frutto di ideologie. Di un pregiudizio negativo incentrato sulla intangibilità della natura che rappresenterebbe il bene assoluto mentre le biotecnologie sono additate come il male. Siamo di fronte ad un errore che non ha neppure giustificazioni dottrinali. L’evoluzione stessa è frutto del caso per questo l’uomo da sempre interviene sulla natura, la cambia, la migliora. Ora abbiamo mezzi per intervenire meglio che in passato. Dobbiamo elaborare un pensiero ci aiuti a usare questi mezzi”. Veronesi prova rispetto per il pensiero religioso e per la fede, eppure dice “mi dispiace l’opzione antiscientifica, il rifiuto della razionalità, la negazione dell’illuminismo”, e aggiunge “Di noi restano le idee e il patrimonio genetico che trasmettiamo ai nostri figli. E’ lì la vita eterna, almeno per me”.
Ecco, per me no, la perfetta salute biologica ed estetica non farà migliori i miei discendenti. Se la vita ha un senso, il dolore non allontana da Dio .
Il nuovo illuminismo adveniens, oltre che a interpretare e riscrivere ancora una volta la storia della nostra cultura e dei nostri valori sta spiegandoci che dobbiamo migliorare noi stessi. E chi non è d’accordo?
Ma il miglioramento non è quello classico, bensì quello genetico e se “l’illuminato” si preoccupava, ma sempre meno, dell’ostacolo rappresentato dalla cultura cattolica, immaginiamoci quel che pensa di quella islamica che sta “invadendo” l’Europa.
Ecco perché Il Timone rappresenta un opera importante di presidio e difesa del pensiero che dobbiamo far crescere e divulgare. 10 volte l’anno meglio che 6.
«Il Timone» del gennaio 2004

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