13 marzo 2008

Strategia della tensione, così ieri è già Storia

Aldo Giannuli rilegge l’epoca delle stragi usando documenti dell’intelligence e materiali dei movimenti di contestazione
Di Ranieri Polese
Bombe, piste nere, servizi deviati: gli anni Settanta secondo la Controinformazione
Per la storia d’Italia degli anni Settanta la parola chiave è: «strategia della tensione». Con questa espressione si voleva designare l’uso di attentati, bombe, stragi per creare una situazione insostenibile, il cui sbocco inevitabile sarebbe stato un colpo di Stato. Questo concetto (qualcuno all’interno delle istituzioni voleva riprodurre in Italia quanto era avvenuto in Grecia nel 1967) è stato centrale nella controinformazione, cioè nei materiali di analisi e propaganda prodotti dai movimenti sorti intorno al Sessantotto e collocatisi alla sinistra del Pci. Intorno ad esso si imperniava il libro La strage di Stato, uscito nel 1970, che ricostruiva una versione alternativa su piazza Fontana, sconfessando la matrice anarchica della strage e indicando la pista di estrema destra. Ma l’espressione strategia della tensione, destinata a passare nell’uso comune, non fu un italiano a coniarla. «Fu un giornalista inglese, Leslie Finer, negli articoli pubblicati sul Guardian nel 1969» dice Aldo Giannuli, autore di Bombe a inchiostro, storia della controinformazione negli anni dal 1969 all’80 circa, in uscita nella Bur. «La cosa più sorprendente è che Finer usa quel termine già il 7 dicembre, prima cioè delle bombe. Parla di un clima di forti tensioni creatosi dopo le elezioni del 1968, in cui il Pci aveva guadagnato quasi 2 punti, mentre il Psu (Psi e Psdi uniti) aveva perso più del 5 per cento, oltre un milione di voti. Fatto che aveva portato, nell’estate del ‘69, a una nuova scissione socialista. Curiosamente, nessuno ha notato l’errore di quell’espressione: avrebbe dovuto essere "tattica della tensione", cioè i mezzi per raggiungere lo scopo del golpe, non "strategia", che invece designa un fine. È lecito pensare che Finer abbia preso in prestito il concetto (l’esatto contrario della "politica della distensione" tra Occidente e Urss) dai suoi amici dei servizi britannici. I quali collaboravano sì con la Cia, ma non condividevano le maniere forti proposte dagli americani». Di certo, fra cortei di studenti e manifestazioni operaie, mentre si ripetevano attentati di marca fascista, l’Italia stava vivendo un momento di grave conflittualità. Che le frettolose indagini a senso unico sulle bombe del 12 dicembre 1969 a Roma e Milano potevano soltanto acuire. «È merito della controinformazione - continua Giannuli - l’avere opposto un’altra verità a quella fabbricata contro gli anarchici e la sinistra. È un merito aver coinvolto poco a poco giornalisti, magistrati, intellettuali e artisti in una campagna imponente. Non tutto il lavoro svolto dai movimenti è da prendere alla lettera, anzi; l’idea poi della "regia unica" di tutti gli attentati ha il sapore di un mito più che di una verità dimostrata (serviva a creare mobilitazione), e certi errori sono gravi (Luigi Calabresi non aveva mai partecipato a un corso in America tenuto dalla Cia, c’era stato invece Lorenzo Calabrese, alto funzionario di polizia di Milano). Certi giudizi sono riprovevoli: come quando, all’indomani del rogo di Primavalle (nella notte tra il 15 e 16 aprile 1973 Virgilio e Stefano Mattei muoiono tra le fiamme appiccate da militanti di Potere Operaio alla casa del padre, segretario di sezione del Msi), il manifesto titolava: "Delitto nazista a Roma"; e Lotta Continua: "Criminale vendetta fascista". Ma se uno guarda a travisamenti, complicità, occultamenti e giochi sporchi dell’altra parte e fa un conto algebrico, finisce per dare un voto positivo all’operato dei movimenti». Ma non c’erano solo tensioni politiche, esisteva un’opposizione più profonda, di cui allora era difficile rendersi conto. «Era quella tra i servizi segreti italiani: da un lato quello militare, il Sid ex Sifar; dall’altro quello della polizia, l’ufficio affari riservati del ministero dell’Interno. Dall’epoca del progettato golpe De Lorenzo con il Sifar (1964) la rottura non si era più ricucita. Senza questa divisione, la controinformazione non sarebbe stata la stessa». In che senso? «Dai due servizi provenivano di volta in volta fughe di notizie, buone o inquinate che fossero. È sbagliato contrapporre ufficio affari riservati "di sinistra" e Sid "di destra": entrambi hanno avuto rapporti con il terrorismo nero, l’ufficio con Delle Chiaie, il Sid con Rauti e Ordine Nuovo. E certamente il libro La strage di Stato ha avuto segnalazioni dal Sid. Certo, l’ufficio affari riservati dava più spesso informazioni alle sinistre: mente e motore del gioco era Federico Umberto D’Amato, responsabile dell’ufficio dal 1971 al ‘74 e dopo consulente fino alla pensione, a metà anni Ottanta. Il riscontro di testi della controinformazione con le carte dell’archivio dell’ufficio è la prova di questo flusso. Non va dimenticato poi che D’Amato collaborava all’Espresso: teneva una seguitissima rubrica di segnalazione di ristoranti (che fra l’altro gli permetteva di farsi una notevole rete di informatori). Sulla base di documenti, atti processuali e altri materiali, possiamo dire che mentre il Sid collaborò attivamente alla strategia della tensione - insieme a gruppi di estrema destra e uomini dei colonnelli greci, con la benedizione dell’amministrazione Nixon e di pezzi dell’imprenditoria italiana - l’ufficio di D’Amato non voleva il colpo di Stato. La controprova l’abbiamo nel biennio 1971-72, quando si soffia sul fuoco delle tentazioni di Lotta Continua e Potere Operaio, a parole disponibili a passare alla lotta armata: tutto questo per dichiararli fuorilegge e spingere la situazione al punto di rottura. Poco dopo l’assassinio di Calabresi (17 maggio 1972), quando Lc è sotto accusa e se ne chiede lo scioglimento, l’estremista di destra Gianni Nardi viene arrestato alla frontiera svizzera mentre sta introducendo armi in Italia. Una segnalazione anonima (ma molto addentro ai servizi) indica in Nardi l’assassino di Calabresi, che peraltro prima di morire stava indagando su un traffico d’armi dalla Svizzera. Questo servirà ad allentare la tensione su Lc». Insomma, un quadro misto, composito, un gioco di grande complessità. «L’immagine che forse rende più l’idea di quello che stava succedendo è il Rick’s Café del film Casablanca: sono tutti lì, nazisti, francesi collaborazionisti, ladri, uomini della Resistenza. E in quell’incrocio si muovono flussi di informazioni, buone e inquinate, in uno scambio continuo. Una realtà meno semplicistica di quelle proposte da due opposte scuole di pensiero: quella che vede i movimenti puri e vergini da contatti con i servizi, e quella che li vede come creature manovrate». Ma si può fare la storia di anni ancora troppo vicini, ancora pieni di misteri? «Si può, e soprattutto si deve. A quelli come Giovanni Moro, che vogliono che passi ancora del tempo per una ricostruzione storica (ci sono ancora troppi nodi irrisolti, dicono), rispondo che è necessario che lo storico si occupi di quegli anni. Anche per liberarci dei fantasmi. C’è poi la posizione degli storici accademici, per esempio Aurelio Lepre, che dicono che non ci sono documenti. Invece ce n’è una valanga, solo la Commissione stragi ne ha acquisito più di 3 milioni di pagine. Ma sono documenti particolari. Che necessitano di una speciale metodologia per essere analizzati e interpretati. Il problema è che lo storico generalmente non è abituato a confrontarsi con fascicoli processuali, non conosce la procedura penale, ha prevalentemente consuetudine con le carte degli archivi di Stato o con le collezioni dei giornali. Per gli anni Settanta la ricerca deve invece basarsi essenzialmente su atti processuali; carte dei servizi segreti; documenti dei partiti. Si dice che i documenti dei servizi sono di difficile consultazione: non sempre. Per esempio, all’Istituto Sturzo, frequentatissimo da storici e ricercatori, nel Fondo informazioni riservate ci sono in libera consultazione moltissime veline dell’ufficio affari riservati del Viminale. E non se n’è accorto nessuno».
Da piazza Fontana al «7 aprile» Il libro di Aldo Giannuli «Bombe a inchiostro» (Bur, pagine 525, 12,50) ricostruisce le vicende relative alla stagione della cosiddetta «controinformazione», durante la quale l’estrema sinistra svolse un’azione martellante per smentire e contrastare le versioni ufficiali sugli eventi più tragici degli anni di piombo: dalla strage di piazza Fontana all’inchiesta «7 aprile» contro l’Autonomia Operaia Aldo Giannuli, ricercatore di Storia contemporanea presso l’Università di Bari, è stato consulente di diverse Procure e della Commissione parlamentare sulle stragi. Ha scritto «Dalla Russia a Mussolini 1939-1943» (Editori Riuniti, 2006) e, con Paolo Cucchiarelli, «Lo Stato parallelo» (Gamberetti, 1997)
«Corriere della Sera» del 24 gennaio 2008

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