23 marzo 2008

E Fanfani creò il «potere bianco»

Cent’anni fa nasceva un protagonista della Prima Repubblica e della svolta a sinistra
Di Alberto Melloni
Le ambizioni: formare una classe dirigente e sconfiggere i clericali
In una Repubblica ignara della sua storia recente, i documenti resi noti in occasione del centenario della nascita di Amintore Fanfani arrivano come uno schiaffo sulle pigrizie conoscitive della ricerca. Fanfani, infatti, è scomparso perfino dall’album delle famiglie politiche: perché è stato troppe cose per poterlo impacchettare facilmente. Puledro di spicco della scuderia di padre Gemelli, il giovane professore assorbe in Cattolica gergalità antisemite, di cui si libererà, e ingenuità: salvo conservare ancora nel 1960 un filo di rancore, ricordando quando «nel ‘26-’29 noi dell’Azione cattolica eravamo esortati a resistere al fascismo e a farci bastonare e a non iscriverci, mentre l’avv. Pacelli e il card. Gasparri trattavano la Conciliazione». Ma nel decennio 1943-53 Fanfani ricrea la propria visione politica nei cenacoli dossettiani di Casa Padovani prima e di via della Chiesa Nuova poi. Il suo contributo alla Costituzione nasce in quel gruppo: ma egli sarà il primo a separarsi da Dossetti, con una coda di ripicche giunta fino ai Meeting ciellini. Gestore della transizione post-degasperiana, stabilisce con Moro l’asse che porterà al centrosinistra e ne interpreterà l’ambizione internazionale sia all’Onu, sia nelle spericolate manovre negoziali per ottenere quella tregua in Vietnam che non verrà mai. Capace di forzare la prudenza di Paolo VI nella «chiamata a un inutile eroismo» (la definizione è di Montini) del referendum sul divorzio, sarà protagonista nel 1978 del tentativo, tardo e fallito, di superare la «fermezza» e di sparigliare gli ideologismi degli assassini di Moro. Segretario della Dc, presidente del Consiglio dai tempi di Siri a quelli di Ruini, mancato presidente della Repubblica, Fanfani è essenziale per capire l’ultimo cinquantennio italiano. Non tanto per la sua longevità politica: piuttosto per la sua capacità di produrre classe dirigente e per l’idea che una linea politica debba e possa persuadere i suoi nemici. Il primo punto è decisivo. Tutti i capicorrente - democristiani e non - hanno usato della rappresentanza per promuovere i fedelissimi, spesso con assoluta noncuranza per l’incompetenza tecnica o morale dei beneficiati. Fanfani si distingue da loro non per scrupoli, che non ha: ma per lo scopo che si dà. Egli intende creare una classe dirigente gemellianamente capace di egemonia, sa costituire poteri responsabili nello Stato: e basterebbe rileggere la lettera con la quale nomina Ettore Bernabei alla direzione della Rai («sappia ora Ella su quale alta Cattedra siede») per rendersi conto che Fanfani crea poteri a cui consegna autonomia, non debiti d’obbedienza. Il secondo punto è documentato dallo straordinario Diario di Fanfani ora all’Archivio del Senato. Fanfani vuol persuadere chi lo ostacola, anche quando - è il caso del centrosinistra - si trova contro «la Chiesa». Distinguere nell’infuocato 1960 il criptofranchismo del cardinale Ottaviani, dal possibilismo di monsignor Dell’Acqua e dall’atteggiamento del Papa era difficilissimo. Fanfani lo fa e reagisce, perché sa che uno Stato sano e una dialettica democratica limpida fanno bene alla Chiesa più di un passivo clericalismo camuffato da obbedienza. Scrive il 18 maggio, quando il giornale vaticano (disobbedendo al Papa, ma Fanfani non lo sa) «invita i cattolici a non far nulla in politica senza il consenso della gerarchia», che questo condanna i cattolici «all’isolamento, in quanto nessun partito potrà trattare con noi, se prima non si è assicurato che abbiamo il placet. Così alla Dc non resta che farsi nominare un assistente ecclesiastico. Ma v’è di più: l’elettore si rifiuterà di dare il voto ad un partito le cui decisioni non gli sono note e comunque possono cambiare per interventi esterni. E a prescindere poi dal problema della commistione di Stato e Chiesa, e di deterioramento dell’autonomia di un partito e dei cittadini, e quindi del deterioramento della sovranità dello Stato, che quelli concorrono a determinare. Dove si andrà a finire, con questa curiosa rinascita di "temporalismo" estensivo?». Passano 11 mesi di voci e disgrazie, per l’Italia e per Fanfani: ma gli dirà il suo grazie il Papa bergamasco, che già aveva scherzato con l’aretino una volta dicendogli che la medaglia del pontificato lo chiamava pastor et nauta, pastore e nuotatore: «Io sono il pastor, lei è il nauta».
Cento anni dalla nascita Il 6 febbraio prossimo, centenario della nascita di Amintore Fanfani, si terrà a Roma presso l’Auditorium Fintecna (via Veneto 89), alle ore 17, un dibattito sullo statista aretino. Intervengono Cesare Mirabelli, Francesco Paolo Casavola, il cardinale Achille Silvestrini e il senatore Oscar Luigi Scalfaro
«Corriere della Sera» del 31 gennaio 2008

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