03 febbraio 2008

L’espulsione di chi predica il terrore

Uno slalom amministrativo, politico e giudiziario
di Magdi Allam
Che fatica cacciare dall’Italia un apologeta del terrorismo islamico! È stato uno slalom amministrativo, politico e giudiziario ciò che ha permesso ieri l’allontanamento dall’Italia di Mohamed Kohaila, sedicente imam della moschea di via Cottolengo a Torino, ritenuto una minaccia all’ordine e alla sicurezza, dopo che la telecamera nascosta di Anno Zero aveva registrato un suo sermone inneggiante alla guerra santa contro gli ebrei e i cristiani, il divieto di integrarsi nella società occidentale e l’obbligo di sottomettere le donne. È stata una soluzione ingarbugliata, squisitamente all’italiana, realizzata grazie alla lucidità di analisi e alla determinazione operativa del ministero dell’Interno, che ha aggirato inizialmente la «neutralità» della Procura, poi ha consolidato la propria posizione grazie alla disponibilità di un giudice ad avvallare la decisione così come prescrive la nuova norma sull’espulsione per motivi di terrorismo appena varata dal Parlamento, accelerando infine i tempi per prevenire in extremis un possibile stop da parte della Corte di Giustizia di Strasburgo. Il primo grazie lo dobbiamo a Maria Grazia Mazzola che ha realizzato la puntata della trasmissione Anno Zero, condotta da Michele Santoro e andata in onda il 29 marzo 2007, in cui con una telecamera nascosta Kohaila è stato immortalato mentre predicava l’odio e faceva esplicitamente apologia di terrorismo con dei manifesti inneggianti a Bin Laden. Il secondo grazie lo dobbiamo al dirigente della Digos di Torino, Giuseppe Petronzi, al capo della Polizia Antonio Manganelli e al ministro dell’Interno Giuliano Amato, che hanno voluto portare a termine delle indagini investigative iniziate ancor prima della trasmissione Annozero, il cui esito ha confermato il contenuto istigatorio e antioccidentale sin troppo manifesto nel sermone registrato e trasmesso in televisione. Ma hanno dovuto fare i conti con tre ostacoli. Il primo è stato la decisione della magistratura inquirente presso la Procura di Torino di archiviare il caso aperto sulla base dell’ipotesi di apologia di terrorismo. È sembrata una posizione salomonica che ha archiviato sia l’ipotesi di reato a carico di Kohaila, sia l’ipotesi di reato per diffamazione e violazione della privacy a carico della giornalista Mazzola. Un classico colpo alla botte e colpo al cerchio che non dovrebbe scontentare nessuno, ma che di fatto salvava il sedicente imam riattribuendogli un’immagine perbenista, complici taluni giornalisti di testate locali che per un assurdo spirito campanilistico si sono spinti fino ad allearsi con il diavolo pur di screditare il lavoro svolto con professionalità dalla Mazzola. Il secondo ostacolo è stato il varo delle nuova norma da parte del Parlamento, che limita il potere del ministero dell’Interno di allontanare dal territorio nazionale chi costituisce una minaccia all’ordine e alla sicurezza pubblica, imponendo che debba esserci l’avvallo del giudice. Il che è un rischio in un Paese in cui, da un lato, prevale l’orientamento a non scontrarsi con gli estremisti e i terroristi islamici e, dall’altro, è purtroppo diffusa la politicizzazione della magistratura. Ma questa volta è andata per fortuna bene. Anzi, più che bene. Perché di fatto l’avallo del giudice italiano ha reso più arduo l’intervento della Corte di Giustizia di Strasburgo. Che rappresentava, appunto, il terzo ostacolo. I responsabili del Viminale avevano ben presente come lo scorso 29 maggio una decisione in extremis della Corte europea dei diritti dell’uomo sospese l’espulsione dell’ex sedicente imam di Varese Majid Zergout e di un suo collaboratore, Abdelillah el Kaflaoui, assolti dall’accusa di terrorismo internazionale dai giudici di Milano lo scorso 24 maggio, proprio mentre stavano per imbarcarsi dall’aeroporto di Malpensa alla volta del Marocco. Ebbene, per evitare che ciò si potesse ripetere, si è riusciti con successo a far sì che la notifica dell’ordine di espulsione avvenisse immediatamente prima della partenza dal territorio nazionale. Sembra incredibile ma siamo arrivati al punto in cui per poter tutelare il diritto alla propria sicurezza, ci si debba parare non solo dall’attività dei terroristi islamici ma anche da quella della magistratura italiana ed europea. Ebbene l’allontanamento di Kohaila premia il lavoro svolto dalla Digos di Torino che era già riuscita con successo a far espellere dall’Italia altri due sedicenti imam collusi con il terrorismo islamico internazionale, il marocchino Bouriqi Bouchta e il senegalese Abdulqadir Fadlallah Mamour. Ma soprattutto fa ben sperare perché sembra che si sia finalmente capito che la predicazione d’odio è parte integrante e fondamentale dell’attività terroristica. Almeno questo l’ha capito chi è direttamente preposto all’opera di contrasto del terrorismo. Speriamo che lo capiscano anche i nostri politici e magistrati.
«Corriere della sera» del 10 gennaio 2008

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