03 febbraio 2008

L’editore che «inventò» la Poesia

«Per tenere in piedi questa impresa ho investito anche la dote di mia figlia»
di Paolo Foschini
Compie vent’anni la rivista di Nicola Crocetti, primatista di longevità. Ha pubblicato Walcott e i greci in Italia. Il nobel Heaney lo celebra
Se non ci credete provateci: quanti di voi scommetterebbero che cliccare «sesso» su Google rinvia a 30 milioni di pagine mentre lo stesso esperimento con «poesia» ne ottiene appena quattro in meno? «Mi stupisco dello stupore altrui», è il commento serafico di Nicola Crocetti. E qualche motivo ce l’ha: perché Crocetti, nato a Patrasso 67 anni fa da madre greca, arrivato in Italia nel ‘45, è semplicemente l’uomo che dal 1988 pubblica ogni mese la rivista di poesia più longeva e più letta del mondo. «Soprattutto la più bella», secondo il grande poeta inglese Tony Harrison. Parliamo di Poesia, appunto. Il cui sito tra l’altro è il primo (non uno dei primi: il primo) ad apparire in cima a tutti quei milioni di Google-page sopracitati. Il suo ventesimo compleanno sarà celebrato lunedì sera a Milano, nella prestigiosa cornice di Palazzo Reale, con Moni Ovadia a leggere e i maggiori poeti oggi viventi ad ascoltare e raccontare, dal francese Yves Bonnefoy al premio Nobel irlandese Seamus Heaney: «Potrei ignorare qualsiasi invito - dice il solitamente schivo autore di Station Island - ma questo di Poesia è un onore riceverlo. E ci sarò». Numero speciale per l’occasione con cinquecento «poesie sulla poesia» scelte tra Ovidio e Raboni, Ritsos e Walcott, giù fino ai giovanissimi: la scelta era tra mille, come sempre in questi casi tanti mancano, e la caccia all’assente è sempre uno sport vecchio. Non che sia facile, fare l’editore di versi. «Per questa impresa - ripete Crocetti - ho usato anche la dote di mia figlia». Ma la storia e i numeri gli hanno dato ragione: ventimila copie mensili tirate e distribuite nelle 38 mila edicole d’Italia. «Il solo problema sono le Poste - allarga le braccia lui - che con i nostri abbonati sono meno puntuali di noi». L’idea gli era venuta a fine anni 70. Lui, che pure si vanta di non avere «mai composto un solo verso», in vita sua però ne aveva tradotti già allora migliaia. Specie dal greco (e il vizio non gli è passato, ora è alle prese col surreale seguito dell’Odissea: 33 mila versi in cui Nikos Kazantzaki, l’autore di Zorba, racconta la vera fine di Ulisse ucciso da un iceberg dopo aver incontrato Gesù e Don Chisciotte). Ma «passati i colonnelli - racconta oggi Crocetti - anche l’interesse dei grandi editori per la Grecia finì: così nell’80 me la sono fatta io, una casa editrice. E sette anni più tardi la Crocetti Editore è diventata madre a sua volta. Di questa rivista». Soprattutto all’inizio ci credeva solo lui. Chi te la compra?, gli dicevano. Ma la sua fede era granitica, alimentata da tre solidi argomenti. Il primo, come dire, di merito. Quando lo ripete, ancora oggi, si accalora fin quasi alle lacrime. «Insomma - insiste - di cosa parliamo noi a distanza di secoli? Diciamo la verità: parliamo di Omero, Esiodo, Saffo, Dante. Perché gli uomini muoiono, sempre. E a raccontarli restano solo le parole dei poeti». E se si vuole, anche fatta la tara della moda, i milioni che ascoltano la Commedia di Benigni non sono poi una conferma così facile da ignorare. Infatti il secondo argomento di Crocetti erano i numeri. «All’epoca in Italia si contavano 380 riviste di poesia. Tutte o quasi a circolazione locale, poche centinaia di copie l’una: ma testimoni di una sete reale. "Bisogna solo arrivare in tutta Italia", dicevo. Non in libreria ma in edicola, fino all’ultimo dei paesini: ora l’han capito tutti, anche coi libri. Ma allora io ho bussato a nove distributori, prima di trovare quello che ha creduto in me. Non se n’è pentito». Oggi è ancora lo stesso, la Sodip di Angelo Patuzzi. Il terzo argomento era il metodo, che poi è anche una critica tuttora ribadita verso la polvere delle accademie: «L’ho imparato negli Usa. L’importanza di parlare in modo semplice anche delle cose difficili. Perché questo è il difetto delle riviste letterarie italiane: il linguaggio da iniziati, professori che scrivono per altri professori. Ma la poesia deve raggiungere tutti. Io ho semplicemente cercato di consentirglielo». «Tutti», nel caso specifico, significa letteralmente tutti: «I lettori di Poesia sono studenti e casalinghe, professionisti e impiegati. Con una prevalenza di donne in verità», dice Crocetti. Che avrebbe una lista di aneddoti infinita: «Il più commovente è stato un edicolante di Catania che mi ha scritto qualche anno fa. "Intuisco che pubblicare questa rivista non sia facile - scriveva - e ho pensato di farle una cosa gradita così": la foto mostrava la sua edicola, con il logo di Poesia sul tetto al posto della pubblicità». È il tasto dolente, che Crocetti neppure vorrebbe toccare ma che è difficile far finta di non vedere. «La passione non basta...», si limita a dire. Ma il punto è che Poesia vive da sempre senza sponsor, senza mecenati, senza imprenditori alle spalle. In compenso, qualche tempo fa, la redazione con i suoi 70 mila volumi - laggiù nella periferia Gallaratese di Milano, in fondo al labirintico complesso Monte Amiata disegnato negli anni 70 da Aldo Rossi - si è beccata persino una visita notturna dei ladri: bottino 300 euro, i danni dieci volte di più. «Eppure - ricorda Crocetti - basterebbe poco. Penso ai Giulio II, ai Medici, agli Este, grazie ai quali abbiamo oggi i Michelangelo, i Raffaello, gli Ariosto... È questo che i "ricchi" di oggi non hanno ancora capito. Che solo sostenendo l’arte possono comprarsi l’immortalità». L’arte, e la poesia.

L’omaggio di Milano La serata per celebrare i 20 anni di «Poesia» è in programma alle 21 di lunedì a Milano nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale. Presenti il Premio Nobel Seamus Heaney oltre a Yves Bonnefoy, Tony Harrison, Titos Patrikios, Massimo Cacciari, Nicola Gardini. A leggere i testi l’attore Moni Ovadia
«Corriere della sera» del 12 gennaio 2008

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