22 gennaio 2008

Paesaggio, il male italiano

Lo storico Giuseppe Galasso racconta la nascita della legge che porta il suo nome e lancia un’accusa
Di Dino Messina
Perché gli egoismi alla fine prevalgono sulla cultura ambientale
Non è vero che in Italia non ci sia cultura del paesaggio e della tutela ambientale. Non scaturisce certamente dal nulla l’articolo 9 della nostra Costituzione quando al secondo comma recita che la Repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione». Perché allora il nostro Paese ha dovuto attendere 37 anni per vedere approvata la prima legge di tutela del paesaggio degna di questo nome? Quella legge che viene ricordata sotto il nome del suo artefice, lo storico Giuseppe Galasso, fra il 1983 e il 1987 sottosegretario del Pri al ministero per i Beni culturali e ambientali. Oggi è lo stesso Galasso a raccontarne la genesi e a farci capire in un libro che vuole essere non soltanto il racconto di un’avventura appassionante ma anche la raccolta di documenti e interventi d’epoca, magari scritti nel vivo della battaglia, perché in Italia una consapevole cultura ambientale deve spesso cedere il passo a egoismi non degni di una nazione avanzata. «In quale altro Paese», si chiede Galasso a conclusione del saggio introduttivo al volume La tutela del paesaggio in Italia - 1984-2005 (Editoriale Scientifica, pagine 205, 12,50), «avrebbe potuto esserci una marcia capitanata da pubblici ufficiali, quali sono i sindaci, per ottenere la sanatoria, se non la santificazione dell’abuso edilizio? In Italia è accaduto, come si sa, per iniziativa dell’indimenticabile sindaco Monello. E si è pure teorizzato - al momento della emanazione del Codice del 2004 - che sia opportuno distinguere tra grandi e piccoli abusi, con la singolare motivazione che senza tale distinzione si finiscono col colpire, e magari severamente, gli abusi minimi e col lasciarsi sfuggire o lasciare impuniti quelli grandi». Ecco, la risposta alla domanda iniziale si trova nella nostra cultura politica, dove «il particulare» ha vinto sempre, dai tempi di Guicciardini. Ma qual era la novità della legge Galasso, nata inizialmente come decreto ministeriale quando titolare del ministero per i Beni culturali e ambientali era Antonino Gullotti e presidente del consiglio era Bettino Craxi? La norma faceva un salto concettuale rispetto alla legge 1.497 del 1939 perché dalla tutela del singolo paesaggio, del singolo bene, si faceva il salto verso le più ampie categorie, quali le spiagge i laghi i fiumi le montagne i ghiacciai i parchi, e verso una strategia complessiva in cui notevole ruolo dovevano assumere le soprintendenze e soprattutto le regioni. Il provvedimento suscitò entusiasmi ma anche, in nome di interessi egoistici e gelosie politiche, una serie di violente reazioni. Alcuni rappresentanti economici condannarono «i vincoli eccessivi» nei quali si voleva imbrigliare lo sviluppo, molte regioni fecero addirittura ricorso alla Corte Costituzionale perché pensavano che quella legge fosse lesiva delle loro competenze territoriali. «Il particulare» sembrava avere avuto il sopravvento finché la Corte Costituzionale riconobbe gli indirizzi della legge come «norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica». La legge Galasso fu dunque un avvio importante e in una storia degli anni Ottanta dovrebbe essere citata esemplarmente per contraddire il luogo comune sul «decennio del riflusso e del disimpegno». Dopo una difficile gestazione, era fatale che la legge Galasso avesse anche un cammino abbastanza accidentato. Lo storico respinge con garbo innanzitutto il tentativo che alcuni hanno fatto di sottrargli la paternità della legge, come è stato il caso di Francesco Erbani nella monografia Uno strano italiano, dedicata alla figura di Antonio Iannello. Ma quel che più sta a cuore allo studioso napoletano, che da Benedetto Croce ha ereditato non soltanto l’impegno della ricerca ma anche la passione civile, è l’esito della politica ambientale in Italia, passata dopo gli anni Ottanta attraverso varie stagioni (la più importante delle quali è l’atto di indirizzo del ministro di centrosinistra Giovanna Melandri nel 2001) e giunta a un provvisorio approdo con il Codice dei Beni culturali e del Paesaggio del 22 gennaio 2004, dovuto al ministro Giuliano Urbani sotto il governo Berlusconi. Galasso vede in entrambi i provvedimenti linee di continuità con il suo ma nota che il Codice Urbani rappresenta sotto certi aspetti un netto arretramento soprattutto quando impedisce alle sovrintendenze di annullare «a valle» le autorizzazioni edilizie concesse dalle amministrazioni locali e non considera vincolante il loro parere richiesto dalle Regioni. Subito dopo l’approvazione della legge Galasso c’era nel Paese un clima di grande ottimismo, né si pensava che dopo vent’anni sarebbero stati possibili scempi come quello che è sotto i nostri occhi in questi giorni proprio nel territorio napoletano. Allora una parte del Paese si chiedeva ingenuamente se sarebbe mai stato più pensabile varare un condono edilizio. Naturalmente ve n’è stato più d’uno. Ma questo libro di Galasso ci insegna che un rilancio della cultura ambientale, senza isterismi e senza estremismi, è possibile. Magari partendo proprio dai limiti della legge varata nel 1985, carente in alcuni punti come quello del restauro paesaggistico. E aggiungendovi un po’di coraggio e tanto impegno.
«Corriere della sera» del 9 gennaio 2008

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