23 dicembre 2007

Sarkozy, c’est nous

Lo splendido discorso lateranense del protocanonico della République
di Giuliano Ferrara
Henry Guaino, scrittore politico eccellente, prepara i testi che Nicolas Sarkozy legge. Ma naturalmente è lui, il presidente, ad aver scelto il suo speech writer, a deciderne il contenuto e ad assumersi la responsabilità politica di pronunciarli. Giovedì scorso, davanti al cardinal Ruini e a poche ore dalla visita a Benedetto XVI, il capo della nazione leader in Europa continentale e signore della République, cioè della più alta incarnazione della laicità moderna, ha detto cose simbolicamente fortissime, che molti lettori del Foglio riconosceranno o sottoscriveranno per averle già lette su queste colonne. Pubblichiamo il testo del discorso del canonico onorario di San Giovanni in Laterano nella copertina del supplemento del sabato. Basta leggere, lettura anche molto piacevole e gratificante per la mente, e si capirà tutto, ma proprio tutto.
Dunque è possibile essere laici e amici della chiesa, in particolare della chiesa cattolica. Laici anche nel senso di non credenti o non appartenenti alla confessione cattolica e disinibiti ammiratori del deposito di spiritualità, di cultura razionale, di fede e di bellezza che appartiene alla religione cristiana. Laici e sostenitori della necessità di riconoscere le radici cristiane della nostra storia europea e nazionale. Laici attenti ad estirpare le sciocchezze del vecchio e del nuovo anticlericalismo. Laici e capaci perfino di fare appello al popolo cattolico perché si riconosca e parli con voce chiara e forte, senza lasciarsi intimidire dall’ideologia neosecolarista e senza per questo rinunciare alla distinzione salubre tra stato e chiesa. Laici e non banalmente volterriani, seguendo il filo non banalmente illuminista del discorso di un presidente che ragiona, ed in questo è volterriano, che guarda il mondo, ne percepisce i mutamenti e i bisogni, fino a sposare le ragioni e lo spirito non già soltanto di un discorso cardinalizio di Joseph Ratzinger ma della sua ultima, splendida enciclica sulla speranza. Si può essere laici e trascurare il professor Odifreddi (niente di personale) per immergersi in Péguy, anzi per riconoscersi nel lascito della nouvelle theologie e dei suoi campioni ecclesiali. Si può essere laici e proclamare senza paura che la forza d’incanto dei tempi moderni sta anche nella capacità di imparare qualcosa dai prìncipi e dottori di una chiesa che presume per sé l’eterno, e conserva l’antico.
Il discorso di Sarkozy è di esemplare semplicità, spiega ai renitenti e ai laici al Barolo delle vecchie e impotenti confessioni immanentiste, che cavalcano il pensiero dominante del tempo dondolandovi come su un basto d’asino, quanto sia prezioso, anche per la politica e per la morale laica, il rapporto stretto tra ragione e fede. Poi, nelle scelte civili, ciascuno fa per sé, e si negozia la battaglia intorno ai cardini della vita e dell’etica, paradossalmente, tenendo conto senza subalternità del punto di vista cristiano sui criteri non negoziabili. Molte cose possono dividerci dalle scelte legislative di Sarkozy, compresa l’ultima follia di un’ulteriore banalizzazione del matrimonio all’insegna del divorzio breve. Ma sulla visione delle cose, cioè sulla sostanza, non possiamo non dirci cristiani e sarkozysti. Perché l’unica laicità possibile è quella che non solo tollera lo spazio pubblico del senso del sacro e della legge naturale e di ragione, ma lo invoca come necessario interlocutore culturale e spirituale della République.
«Il Foglio» del 22 dicembre 2007

Nessun commento: