23 dicembre 2007

Parole crociate, un orizzonte verticale per menti anarchiche

Il libro di Stefano Bartezzaghi
di Aldo Grasso
Dici Bartezzaghi e dici «Settimana Enigmistica», dici Bartezzaghi e pensi al più grande autore italiano di cruciverba: un nome, una garanzia, un piacere. In realtà, i Bartezzaghi sono una piccola stirpe di giocolieri della parola, come certe famiglie circensi. C’era il Piero, noto come «il P.», perché le sue famose parole crociate erano firmate «P. Bartezzaghi» e ora ci sono i figli: Alessandro, che continua il mestiere del padre, Stefano, che è il teorico di famiglia, e Paolo, che scrive per la «Gazzetta dello Sport» e si occupa principalmente di basket (uno sport non dissimile dalle parole crociate). Stefano Bartezzaghi ha scritto un libro molto bello sul potenziale romanzesco del cruciverba, L’orizzonte verticale (Einaudi). È un viaggio nel tempo (il percorso orizzontale) nel tentativo di ricostruire la storia del più affascinante gioco con le parole e, nello stesso tempo è un viaggio in profondità (il percorso verticale) alla ricerca di molteplici e insospettate parentele culturali. A chi crede che il cruciverba sia l’organo ufficiale di «Flatlandia», l’universo a due dimensioni (orizzontale e verticale, appunto) inventato dal reverendo Edwin Abbott, e che cioè per far quadrare le parole nelle caselle sia sufficiente una buona dose di metodo e tanto nozionismo, questo libro si rivelerà una delusione. Perché dimostra tutto il contrario: il cruciverba è, se mai, l’organo ufficiale di una città come New York, riproduce in qualche modo la pianta di Manhattan, ha la verticalità dello skyline e l’orizzontalità della rete metropolitana. Bartezzaghi mette in contatto l’universo bidimensionale dello schema crociato con l’universo tridimensionale dell’immaginazione. Il cruciverba è anche un’organizzazione del sapere (una fra le tante), una perfetta metafora della cultura di massa (griglia e teatro della memoria), un parente stretto dell’architettura, della musica, del cinema, della televisione, della pubblicità. Scrive Bartezzaghi: «Il cruciverba è un gioco, e non una disciplina, perché può scomodare potenzialmente ogni campo del sapere ma ne organizza gli item in modo anarchico: non ripete l’organizzazione progressiva dei programmi scolastici, né quella per gerarchie di rilevanza dei giornali, né quella alfabetica dell’enciclopedia». Ma è soprattutto un gioco che non combina pensieri ma singole lettere. Come già rilevava Emilio Cecchi nel 1925, nell’articolo Puzzle pubblicato sul quotidiano «Il Secolo» di Milano, la forza d’incanto del cruciverba ha diverse componenti: «Qualcosa di semplicissimo e formidabile: il gusto della parola necessaria; la luminosa attrazione delle idee innate; il senso di poter fare dentro di sé infinite scoperte mediante la chimica del crittogramma; la poesia delle innumerevoli associazioni; il decoro architettonico di eleganti e inaspettate identità...». In inglese le parole crociate si chiamano «Cross-Word» e in Italiano «Cruciverba». Ma chi ha inventato queste parole? Nell’uno e nell’altro caso, il racconto di Bartezzaghi è colmo di perizia etnologica e candido humour. Il neologismo italiano, ad esempio, è stato inventato da Valentino Bompiani, ancor prima di fondare la propria casa editrice, ed Enrico Piceni: «Convinti che una lingua, pur non dando l’ostracismo assoluto ai neologismi stranieri, debba adattarli al proprio carattere, abbiamo ricercato il nome preferibile del gioco... Un piccolo plebiscito di famiglia ha acclamato Cruciverba, che è prettamente latino facile a pronunziarsi e a ricordarsi e dà anche il senso del tormento provato dal solutore quando stenta a trovare la parola giusta». Il libro racconta, appunto, le mirabili avventure delle parole in croce - il cruciverba come scrittura e la scrittura come cruciverba -, la solitudine dell’autore e quella del solutore (è il gioco che meglio esprime il concetto di «folla solitaria»), i tanti personaggi che hanno fatto la fortuna della Sfinge ai tempi della cultura di massa, la fantastica storia della «Settimana Enigmistica» di Giorgio Sisini (come dimenticare il «Quesito con la Susi», con quell’articolo molto milanese...?) e le prove per solutori esperti di «Domenica Quiz». Se posso permettermi un consiglio, inviterei il lettore a cominciare il libro da pagina 337, da una zona periferica eppure centralissima. Stefano Bartezzaghi dedica al padre, il più importante cruciverbista italiano, uno splendido ritratto tra l’affettuoso e l’ammirato. Sono poche pagine di grande intensità, a tratti toccanti, sempre coinvolgenti: «Era una persona molto riservata e abitudinaria, con una certa tendenza a starsene sulle sue... Quando, negli anni Ottanta, il suo nome incominciava a circolare come quello del massimo enigmista italiano, rilasciò alcune interviste anche radiofoniche, ma non partecipò ai talk show televisivi che lo avevano invitato». Sono però le pagine che danno il senso, il calore, la verticalità a questo saggio, svelandone, dietro il paravento del gioco combinatorio, «l’indole ampiamente personale».
L’autore Stefano Bartezzaghi (1962) si è laureato con una tesi sulle strutture semiotiche dei giochi enigmistici Il padre Piero Bartezzaghi (1933-1989) è stato uno dei più grandi enigmisti di tutti i tempi, celebre per i suoi studi e per i suoi cruciverba

STEFANO BARTEZZAGHI, L’orizzonte verticale EINAUDI PP. XX-382, 24
«Corriere della sera» del 17 dicembre 2007

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