31 dicembre 2007

L’amore nel Medioevo, tra natura ed «estatica»

di Bianca Garavelli
Amore è parola molto familiare nella nostra vita quotidiana, al punto da essere abusata. Difficile da definirsi, e spesso chiamato in causa invano, nel migliore dei casi l’amore è pensato come un sentimento, in primo luogo tra un uomo e una donna nel nucleo fondamentale della famiglia. Quindi è un tema non trascurabile anche dal punto di vista relazionale e sociale, non certo da relegare nell’ambito della letteratura e del cinema rosa. Nelle feste natalizie potremmo dedicare del tempo a chiarirci un po’ le idee, partendo da lontano: dalle due grandi definizioni dell’amore elaborate dai più autorevoli filosofi del Medioevo, che hanno influenzato tutta la nostra cultura, e su cui si dovrebbe fondare anche l’Europa di oggi. Fino a scoprire che potremmo avere ancora oggi una vera e propria cultura dell’amore, se tornassimo alle nostre origini. Pierre Rousselot, autore di questo Il problema dell’amore nel Medioevo, saggio specialistico e rigoroso, eppure illuminato da una chiarezza che non semplifica ma rende limpide le idee, era un gesuita francese noto per i suoi studi sul tomismo e sulla filosofia dell’amore. Anzi è considerato a sua volta alle origini della teologia contemporanea.
Esempio di coerenza fra pensiero e vita, Rousselot visse senza risparmiarsi, fino a chiedere, durante le operazioni militari della Grande guerra in cui era impegnato a soccorrere i caduti sul campo, di essere mandato in prima linea. Muore nell’aprile del 1915, anche lui sul campo, a soli trentasei anni, e il suo corpo non viene mai ritrovato. Questo libro rappresentava la sua 'piccola tesi' per il dottorato in Lettere, presentata nel 1908, e non è stato ancora studiato come i più noti L’intellettualismo di san Tommaso e Gli occhi della fede, già tradotti in Italia. Ora però Domenico Bosco lo cura con molta precisione e ricchezza di riferimenti storici mostrando come in realtà sia altrettanto importante. Rousselot distingue due concezioni, entrambe alla base di molta letteratura medievale: per esempio, della poesia teologica del Paradiso di Dante. La concezione 'fisica', nel senso di 'naturale', che ritiene fondamento di ogni forma d’amore l’amore di sé, senza che sia inconciliabile nemmeno con l’amore per Dio. Di questa prima tesi sono fautori Ugo da San Vittore, san Bernardo di Chiaravalle, e soprattutto san Tommaso d’Aquino, il 'dottore angelico' in cui Rousselot individua anche un continuatore delle dottrine neoplatoniche e non solo un seguace di Alberto Magno. La seconda concezione è quella 'estatica', più difficile da delimitare con precisione: è in autori, tra cui ancora san Bernardo nella seconda parte della sua vita, che ritengono l’amore una forza in grado da portare 'fuori da se stesso' il soggetto amante, in netto contrasto con l’amore per sé. Questa forma di amore è dunque molto violente e libera, perché non permette compromessi e non ha altra ragione 'se non se stesso'. Osserva Bosco che queste due modalità dell’amore sono state codificate sostanzialmente nello stesso modo da Lacan, soprattutto nel saggio Ancora. Ma andrebbe approfondita a mio parere una sua osservazione in nota: Dante sceglie alcuni dei teologi oggetto dell’analisi di Rousselot come personaggi del suo Paradiso, soprattutto san Bernardo, di cui sembra addirittura cogliere, in anticipo di secoli, il dualismo fra concezione 'fisica' ed 'estatica' che il teologo francese individua nella sua evoluzione spirituale. Infatti il vegliardo dall’aria saggia e rassicurante che Dante sceglie come suo cicerone della candida rosa dei beati, si premura di sottolineare l’aspetto amoroso del viaggio verso Dio, ancora prima della celebre preghiera alla Vergine madre, e a mostrarne al tempo stesso i lati umani, e perciò 'naturali'.

Pierre Rousselot, Il problema dell’amore nel Medioevo, Morcelliana, pp. 242, € 18,00

«Avvenire» del 22 dicembre 2007

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