22 dicembre 2007

I traduttori digitali ed «Ezra Sterlina»

di Paolo Di Stefano
È con malcelata soddisfazione che il Piccolo fratello constata come vi siano dei luoghi che ancora resistono all’invasione barbarica del digitale. Uno di questi corrisponde alla tanto bistrattata sfera della traduzione. Bistrattata soprattutto in Italia, dove ancora i traduttori letterari faticano a far valere i loro diritti. Il Piccolo fratello ricorda quando Google, nel 2001, lanciò in pompa magna la traduzione automatica, frutto di «una tecnologia avanzata che non prevede l’intervento di traduttori». Fu un disastro, ma eravamo ancora agli inizi e si supponeva allora che grazie alle «tecniche statistiche di apprendimento» elaborate da Google fosse possibile migliorare. Invece no. A sei anni da quell’esperimento, i tentativi di traduzione automatica continuano a essere catastrofici: mancano proprio i criteri di base. Il Piccolo fratello, per esempio, è andato a curiosare nel sito della Bbc per verificare come viene trattato il suo caro Orwell e ha scoperto che l’autore di Diciannove ottanta-quattro «è stato costretto a fuggire (dalla Spagna) per paura della sua vita sovietica, sostenuta da comunisti, che sono stati la soppressione socialista rivoluzionario dissidenti». Un delirio. Il traduttore automatico, poveretto, non è ancora in grado di garantire nemmeno una correttezza sintattica e una coerenza semantica. Per dirne una: nella famosa frase orwelliana: «Se vuoi un’immagine del futuro immagina uno stivale che calpesta un volto umano», lo stivale è diventato un enigmatico «avvio di stampaggio» schiacciato sulla faccia di qualcuno. Mancano i criteri di base, si diceva. Altro esempio: nel caso di citazioni testuali, non è pensabile un comando che ordini al traduttore automatico di tornare semplicemente all’originale? E’ il minimo: di fronte, supponiamo, a un saggio in lingua inglese su Montale, il traduttore (in carne e ossa) non commetterebbe mai l’errore assurdo di ritradurre, ma va a ripescare il passo corrispondente in italiano. Per cui non succederebbe mai, come capita in Internet, che il celebre incipit «Meriggiare pallido e assorto» diventi «Oziare a mezzogiorno, pallido e ponderato». Altra questione. Si sa che il primo problema serio che ogni traduttore (in carne e ossa) deve valutare è di carattere pragmatico: bisogna sapere che il contesto detta le sue leggi. Pound può essere l’equivalente di «sterlina», ma può anche indicare il cognome di un famoso poeta americano del Novecento. Il traduttore automatico, essendo (a questo punto) triplamente deficiente, non è in grado di distinguere la situazione e il contesto. Dunque, non c’è da stupirsi se nella versione italiana dell’enciclopedia «Encarta» troviamo un certo Ezra Sterlina autore dei «Cantos». Insomma, è probabile che anche in futuro il traduttore in carne e ossa rimanga una di quelle figure professionali insostituibili. Figurarsi il traduttore letterario o quello di poesia. Dunque sarebbe bene che anche gli editori italiani si decidessero a tenerne conto. Ripagando come merita una versione da Shakespeare, da Goethe o da Pound. In euro, in dollari o in sterline, fa lo stesso.
«Corriere della sera» del 27 novembre 2007

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