31 dicembre 2007

Graal, ritorno al cattolicesimo

di Franco Cardini
Il Graal continua ad essere di gran moda: ma non si direbbe che, nonostante il baccano pubblicitario che gli si sta facendo intorno – o forse proprio a causa di esso –, le idee diffuse sulla sua na­tura siano granché più chiare. Con­tinua ad essere un 'oggetto misterioso': anzi, qualcosa di cui s’igno­ra perfino se sia in effetti un ogget­to, cioè una reliquia, o la forma me­dievale e occidentale di un mito di sapienza e di potenza concentrato in un oggetto simbolico. Nono­stante ciò, gli strumenti a disposi­zione di chi volesse una buona vol­ta capirne qualcosa senza lasciarsi guidare dal Martin Mystère o dal Dan Brown di turno ci sarebbero. Basterebbe ad esempio affidarsi al bel libro Il Graal. I testi che hanno fondato la leggenda, a cura di Ma­riantonia Liborio, con un’Introdu­zione di Francesco Zambon (Mon­dadori, 2005). Parola che indicava un recipiente a forma di vassoio o di coppa in al­cuni dialetti celto-latini (è super­stite nel valdostano 'grolla'), il Graal assurse a oggetto prezioso e carico di valore sacrale nel romanzo Perceval del trovatore Chrétien de Troyes, attivo in alcune corti principesche franco-orientali della seconda metà del XII secolo. Quello scritto ebbe tanto successo che ne nacque ben presto un vero e pro­prio ciclo cavalleresco presto sviluppatosi in numerose e natural­mente non omogenee 'continua­zioni': insomma, in una serie di soap opera che si diffusero dal Due al Quattrocento per poi scompari­re alla fine del XV secolo.
E si capisce bene perché scompa­rissero: da una parte la Chiesa non aveva mai troppo apprezzato quei romanzi, che parlavano talora un linguaggio mistico-misterico men­tre altre volte erano intrisi d’un am­biguo erotismo, e in cui erano on­nipresenti il Cristo e il Mistero eu­caristico mentre il ruolo dei mini­stri del culto, assenti o quasi, era giocato semmai da eroi cavallere­schi; dall’altra il loro carattere ap­punto fortemente legato all’Euca­restia e all’Adorazione del Santo Sangue del Cristo si scontrava con le radici stessi della riforma prote­stante. Cattolici e protestanti volta­rono pertanto concordi le spalle al mito graalico, che non a caso sa­rebbe ricomparso – ma in un con­testo teistico, esoterico e neopaga­no – soltanto tra Sette e Ottocento, con Schlegel, Scott, Tennyson e Wa­gner.
Ma ancor oggi si stenta a diffonde­re, su questo tema, delle letture e delle conoscenze adeguate. Insie­me con le tesi esoterico-occultiste sviluppate non tanto da personag­gi come René Guénon o Julius Evo- la quanto dai loro nume­rosi 'discepoli' ed epigoni, grande successo hanno a­vuto ad esempio i libri d’un curioso erudito tede­sco, Otto Rahn, wagneria­no e nazista – nonché, sot­to il profilo storico-filolo­gico, gran pasticcione –, innamorato di quel 'Paese pirenaico' nel quale sorge la rocca di Montségur (l’ul­tima fortezza catara, con­quistata solo nel 1244 dai crociati) e che aveva fan­tasiosamente connesso il simbolo graalico con la fe­de catara. Il movimento neocataro, sviluppatosi nel Novecento soprattutto tra le popolazioni franco­meridionali dove forti so­no i gruppi che sognano l’autonomia di un’'Occi­tania' estesa dalla sponda destra del Rodano a Bar­cellona e alla Loira, ha te­so a presentarsi come la fa­cies religiosa dell’irreden­tismo, addebitando alla Chiesa cattolica e alle sue scelte nel Duecento la fine della libertà occitana.
Le cose stanno natural­mente in modo ben più complesso. Tra XII e XIII secolo in Occitania (come anche altrove, ad esempio in Lombardia e in Tosca­na) il movimento religioso cataro (che si presentava come un’istanza di ritorno alla purezza cristiana del­le origini ma era in realtà una vera e propria religione dualista, che contrapponeva il Bene e il Male e scorgeva quest’ultimo in ogni ma­nifestazione della materia, Crea­zione compresa) parve addirittura trionfare, sradicare la Chiesa dalle sue fondamenta e imporre una mo­rale e un assetto socio-religioso nuovi. Contro questo pericolo – che nel suo odio per tutto quel che fos­se materiale si configurava sostan­zialmente come una vera e propria religio mortis: e che pure aveva sa­puto attrarre trovatori e giovani a­manti dell’eros e addirittura fauto­ri di un’indiscriminata libertà ses­suale – la cristianità del primo Due­cento fu costretta a difendersi: e, falliti gli strumenti della persuasio­ne e della rievangelizzazione, si u­sarono quelli, spesso spietati, della crociata.
Del catarismo e della 'crociata de­gli albigesi', che sradicò l’eresia ma desolò la Francia meridionale nel­la prima metà del Duecento, Michel Roquebert è oggi uno dei maggiori studiosi. Non stupisce quindi che egli sia autore di un libro come I ca­tari e il Graal. Il mistero di una gran­de leggenda e l’eresia albigese, nel quale si affronta di nuovo il tema del rapporto tra Graal e catarismo rovesciando completamente le te­si care al Rahn. Data l’estrema com­plessità del 'ciclo' graalico e l’ete­rogeneità di molti degli autori dei romanzi che lo compongono, è ov­vio che all’interno di alcuni di essi esistano anche elementi culturali e filosofici di tipo eterodosso e ten­tazioni gnostiche, come ha per e­sempio dimostrato il nostro Fran­cesco Zambon, studioso finissimo di uno dei principali autori di ro­manzo graalico, Robert de Boron. Ma ciò non vuol affatto dire che vi fossero contaminazioni tra Graal e catarismo.
Al contrario: la chiesa del Duecen­to dovette affrontare una durissima offensiva spiritualista, mossagli contro da una parte da Gioacchino da Fiore con la sua profezia della futura 'età dello Spirito Santo', dal­l’altra dal catarismo che, con la sua neomanichea contrapposizione di spirito e Materia, finiva con l’attac­care alla radice l’Incarnazione e il Mistero eucaristico. Ebbene: i ro­manzi del Graal furono – esatta­mente al pari della cattedrale d’Or­vieto, eretta per onorare un mira­colo eucaristico – parte della con­troffensiva cattolica incentrata sul cristocentrismo, sul Cristo Dio e Uomo. Roquebert riesce a dimo­strarlo con impeccabile logica eru­dita e con grande eleganza, siste­maticamente utilizzando i testi dei romanzi graalici duecenteschi. E con ciò riconduce all’ortodossia cattolica una grande espressione letteraria e, insieme, mitica, della nostra letteratura. Le radici del­l’Europa, in quanto cristiane, sono anche graaliche. La sia pur artisti­camente parlando sublime mistifi­cazione wagneriana viene sma­scherata in pieno.

Michel Roquebert, I CATARI E IL GRAAL, Il mistero di una grande leggenda e l’eresia albigese, San Paolo. Pagine 254. Euro 22,50

«Avvenire» del 22 dicembre 2007

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