31 dicembre 2007

E lo scienziato si arrese all’anima

di Andrea Lavazza
« Mi considero un neuroscienziato 'spirituale'. Nella mia prospettiva, l’anima si riferisce all’essenza 'non fisica' della persona che si manifesta come coscienza, pensiero, sentimenti e volontà. Questa parte spirituale dell’essere umano continua a esistere dopo la morte fisica del corpo». Mario Beauregard, ricercatore dell’Università di Montréal, ha appena pubblicato un libro divulgativo che già dal titolo ( The Spiritual Brain. A Neuroscientist’s Case for the Exi­stence of the Soul) sfida le convinzioni dif­fuse tra i suoi colleghi. E sta prepa­rando un volume rivolto agli addetti ai lavori contro la visione materialistica dell’uomo.
Perché la maggior parte dei neuro­scienziati nega l’esistenza dell’anima?
«Le neuroscienze sono lo studio del cervello nei suoi vari livelli di orga­nizzazione, con un’impostazione necessariamente materialistica e naturalistica. Perciò quasi tutti gli studiosi ritengono che la loro ricerca non abbia nulla a che fare con l’anima, perché essa rappresenta l’aspetto 'non materiale', mentre il materialismo costituisce la tesi metafisica di base. Di conse­guenza, le funzioni mentali superiori, la coscienza e il sé possono ridursi a processi neurochimici e neuroelettrici. E anche le esperienze religiose, spirituali e mistiche (Ersm) diventano sottoprodotti dell’attività cerebrale. In questa cornice ideologica, l’anima è semplicemente un’illusione».
Che cos’è allora il 'cervello spirituale' del titolo del suo libro?
«Sono le strutture e le reti cerebrali coinvolte in vari tipi di Ersm. Il concetto è legato alle 'neuroscienze spirituali', un nuovo ambito di ricerca all’incrocio tra psicologia, religione, spiritualità e neuroscienze. Il principale obiettivo è quello di esplorare le basi neuronali delle Ersm. È decisivo, però, sottolineare che la comprensione del substrato neuronale di tali esperienze non diminuisce, né svaluta il loro significato e il loro valore».
A questo proposito, Lei ha condotto ricerche su un gruppo di suore cattoliche...
«Abbiamo usato la risonanza magnetica funzionale per misurare l’attività cerebrale di alcune carmelitane durante lo stato soggettivo di unione mistica con Dio. Il punto di partenza era l’ipotesi, avvalorata da studi su persone epilettiche intensamente religiose, che il lobo temporale fosse la specifica area del cervello asso­ciata alle esperienze di fede. I nostri risultati dicono, al contrario, che sono attive almeno dodici zone diverse dell’encefalo durante le fasi di estasi mistica. Zone che normalmente vengono coinvolte in varie funzioni, dalla percezione alle emozioni alla rappresentazione corporea. Ciò contraddice l’idea di un’'area di Dio' specificamente localizzata».
Ci sono prove scientifiche dell’esistenza dell’anima?
«Non ancora. Tuttavia, esistono alcuni dati aneddotici relativi a casi di esperienze di quasi-morte (Nde). Quello della cantante americana Pam Reynolds è il più noto, e inspiegabile secondo la scienza materialistica. Nel 1991, le fu diagnosticato un grande aneurisma cerebrale inoperabile. Il neurochirurgo Robert Spetzler di Phoenix propose di tentare con la tecnica dell’arresto cardiaco ipotermico: alle basse tempe­rature agire sui vasi è più agevole, mentre i tessuti possono resistere più a lungo senza ossigenazione. La Reynolds accettò il rischio. Durante l’intervento, la si poteva considerare 'morta': il suo cuore fu fermato e il suo elettroencefalogramma divenne piatto. Il tronco encefalico, responsabile delle funzioni automatiche, e i suoi emisferi cerebrali non davano più risposte, mentre la temperatura corporea scese a 22 gradi. A quel punto, i medici aprirono il cranio con una sega speciale. Successivamente, Pam riferì che in quel preciso momento si sentì proiettata fuori del corpo e fluttuante sul tavolo operatorio. Ma la cosa più notevole è che raccontò nei dettagli l’intervento (che non conosceva) e quello che diceva l’équipe in azione. Infine, entrò in un tunnel, al cui termine vide una luce calda, e sperimentò un’unione della propria anima con Dio.
Il caso è importante perché tutto accadde mentre la paziente era 'clinicamente morta' e ciò era certificato da persone esperte dotate di strumenti precisi; inoltre, Pam raccontò fatti verificabili che non avrebbe potuto sapere se non fosse stata cosciente nel momento in cui avvenivano ».
Tutto ciò che cosa dimostrerebbe?
«Innanzitutto, indica che la mente, la coscienza e il sé possono prolungare la loro esistenza quando il cervello è totalmente 'spento' e si è in presenza di morte clinica. In secondo luogo, in quelle condizioni, si hanno comunque le Ersm. E ci si può perfino spingere ad affermare, sulla base di molti altri racconti diffusi in tutto il mondo e in tutte le culture, che abbiamo la possibilità di connetterci, a livello mentale, con una coscienza superiore, cosicché i nostri atti mentali diventano distinti dal cervello, sebbene osservabili per mezzo di esso».
Le neuroscienze che cosa possono dire sulla religione?
«Le tecniche di visualizzazione del cervello possono mostrarci che cosa avviene nel cervello – dal punto di vista chimico ed elettrico – durante le esperienze religiose, spirituali e mistiche. Tuttavia, queste informazioni non ci dicono nulla circa la fenomenologia di tali esperienze (la prospettiva di prima persona; l’oggetto cui si riferiscono). Inoltre, la realtà esterna di Dio non può essere né confermata né smentita dall’individuazione dei correlati neuronali delle Ersm. Ecco perché, a mio parere, non ha senso parlare di neuroteologia».
Ricapitolando, quali sono gli argomenti contro un’interpretazione strettamente materialistica della mente?
«La scienza che adotta questa prospettiva è costretta a negare o a respingere o a cerca­re di dissolvere tramite una spiegazione tutti i fenomeni che sfidano il materialismo. E si tratta di una mole crescente che, oltre alle esperienze di quasi-morte, comprende anche l’effetto placebo (modificazioni fisiologiche indotte dalla semplice credenza di aver assunto una sostanza,
ndr). Soltanto una prospettiva non materialistica può offrire spiegazioni scientifiche di questi fenomeni elusivi, che la ricerca attuale accantona».
«Avvenire» del 28 novembre 2007

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