12 ottobre 2007

L'utopia di Wikipedia relativismo formato digitale

Due milioni di voci nell'enciclopedia Internet: un fenomeno culturale
di Francesco Ognibene
Se Internet è il supermercato della comunicazione, Wikipedia è la sua versione hard discount, con informazione illimitata liberamente fruibile senza farsi troppe domande sulla qualità di quel che si afferra sugli scaffali. Il sito nato all'inizio del 2001 col semplice intento di fornire agli utenti della rete un'enciclopedia digitale di pronto uso, e poi esploso come una delle esperienze più emblematiche del Web, ha toccato in questi giorni i due milioni di voci, un traguardo che lo rende un monumento nella storia recentissima di Internet. La contabilità peraltro si limita alla sola versione in lingua inglese, capostipite di una famiglia di prontuari online che sotto lo stesso marchio parlano la bellezza di 250 lingue, per un totale di 8 milioni di voci. Se decidessimo di stare ai soli numeri, potremmo limitarci a ragionare di una delle tante esperienze digitali che hanno trasformato in un tempo straordinariamente breve l'intuizione di pochi appassionati nello strumento di lavoro, di consultazione o di svago di milioni di persone nel mondo. Cioè l'ennesima pagina di storia del mondo globale accelerata dalle tecnologie informatiche. Come sanno bene i frequentatori della rete, Wikipedia però è qualcosa di più rispetto a un pur vistoso fenomeno del Web. A comporne, pezzo a pezzo, l'immensa struttura non è stata infatti la paziente opera di un'infaticabile redazione culturale, ma il contributo di una moltitudine di utenti che hanno realizzato spontaneamente ogni singola voce, attingendo dal proprio bagaglio di conoscenze, valori e idee. Un colossale affresco di informazioni e di voci dal basso - lo strumento liberamente costruito dai suoi stessi utilizzatori - che ha persino dato corpo a una "filosofia wiki", definizione passata a designare un sistema culturale libero e aperto, privo di gerarchie e di autorità.
L'immensa enciclopedia online è una vera forma di intelligenza collettiva, forse la traduzione più fedele dell'utopia con la quale i pionieri della rete si lan ciarono negli anni Novanta alla conquista del Nuovo Mondo tutto virtuale spalancato da quel formidabile mezzo di comunicazione che andavano plasmando. Ma è proprio questa sua natura che deve far riflettere: perché il fatto che milioni di navigatori ogni giorno consultino Wikipedia per sapere chi era Giulio Cesare o cos'è la termodinamica, senza neppure più chiedersi quale autorità abbia l'estensore della relativa voce perché ci si debba fidare di lui, è il segno che il pensiero cooperativo del Web sta filtrando dentro le cellule della nostra cultura. Le prerogative del mezzo determinano infatti il tipo di uso che se ne fa e poco alla volta modellano l'approccio e la stessa intelligenza di chi lo frequenta, come conferma la storia della tivù e di noi teleutenti. Per capirci: ai motori di ricerca frequentati da tutti per trovare un'informazione sperduta chissà dove nelle profondità del Web ci si aggrappa ormai come il naufrago al salvagente, e mai ci si interroga sull'idea che ispira la graduatoria di risultati apparsi sullo schermo. Perché se cerco qualcosa sul Papa il sito della Santa Sede compare solo al quinto posto? E i quattro siti precedenti che autorità hanno per parlarmi di lui? Internet equipara ogni informazione a qualsiasi altra, abbattendo alla radice ogni pretesa di verità. Anzi, chi vuole affermare un punto fermo su materie controverse è come se si autoescludesse da un "collettivo digitale" allergico ai princìpi indiscutibili (tranne quelli wiki, s'intende). La cultura "aperta" che ispira la rete come un'ideologia intangibile è a ben guardare l'altra faccia del relativismo, al quale fornisce una legittimazione globale proprio grazie alla straordinaria penetrazione del Web. Passata la sbornia della navigazione senza meta rimbalzando da un sito all'altro, oggi chi usa Internet anzitutto non vuole perdersi. E si mette nelle mani di guide alle quali neppure più chiede chi sono e da che parte vanno.
«Avvenire» del 14 settembre 2007

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