12 ottobre 2007

Le mille ipocrisie della casta letteraria

Dai premi truccati ai critici che elargiscono patenti o stendono veti con logiche da consorteria. E i nuovi «salotti» proni alle regole del banale televisivo. Parlano gli intellettuali
di Fulvio Panzeri
Negli anni Sessanta e Settan­ta c’erano i salotti romani guidati da Moravia, Pasolini e Siciliano e certe pastette o certi veti rispetto a scrittori scomodi o non 'integrati' in questi giri, dietro ai giochini di sostegno benevolo o di raccomandazione evidente, c’era una facciata di rigore intellettuale, data anche dal di più della disputa ideologica che salvava e giustificava tutto. Passano gli anni, ma nulla cambia e il modello del salotto ro­mano fa strada nella società lettera­ria italiana e si espande e si diffon­de, creando quelle che Alfonso Be­rardinelli su Avvenire nei giorni scorsi (dopo una riflessione di Filip­po La Porta sul Riformista), ha chia­mato 'mafie buone' e 'mafie catti­ve', «mafie anche a fin di bene», che si insinuano e inquinano quello che invece dovrebbe essere un semplice 'fare cultura'. E il nuovo modello di 'salotto italiano', che trova sedi a Torino, ma anche a Mi­lano, nel Triveneto e a Roma, 'lupa' genetrice del salotto, è in ascesa li­bera, come da modelli televisivi for­temente in voga in questi decenni. Certi salotti mantengono la loro di­mensione discreta e potente, altri si involgariscono e trasformano que­sta nostra società letteraria in un vero e proprio Circo Barnum, dove i premi spesso sono 'truccati'. Non c’è bisogno di essere Giucas Casella per sapere chi vincerà il premio Strega 2008: già circola il nome (che non faremo, per lasciare la sorpresa al pubblico), come era circolato ne­gli anni scorsi e l’esito finale non ha mai smentito le funeste previsioni. E dove le recensioni sono un gioco al baratto, io la faccio a te e tu la fai a me e magari poi ci costruiamo un gossip che serve a fare schizzare il libro in classifica. E ancora le case editrici, le maggiori, pubblicano tanto, troppo, senza editing, libri che sembrano bozze non corrette, manoscritti che danno l’impressio­ne di essere stati raccattati dalla strada e magari dietro si nasconde un 'padrino' eccellente che serve la buona causa di lanciare uno scrittore magari 'bisognoso', un po’ come era il patronato di una volta. Con un chiodo fisso: portare il salotto in televisione e istituire co­sì il cosiddetto circo mediatico. Questi i fatti sommari di quella che alcu­ni si ostinano a chiamare 'casta letteraria'. Er­manno Pacca­gnini, docente universitario al­la Cattolica e critico del Cor­riere della Sera, ritiene eccessivo definire tutto que­sto come una 'casta': «È troppo e offende il valore storico che questa parola ha avuto. Quella della so­cietà letteraria italiana è una situa­zione da sottobanco, non può esse­re nobilitata dall’essere chiamata 'casta'. Oggi la società letteraria si fonda sul concetto del 'dare per a­vere' e riconosci facilmente queste mosse. Il problema di fondo è quel­lo dell’onestà intellettuale che viene a mancare, perché i recensori in ge­nere non hanno più una propria deontologia che porta a non com­promettersi con le case editrici con cui si collabora. Se per esempio un critico dirige una collana di lettera­tura dovrebbe evitare di recensire i libri che pubblica. Invece succede proprio il contrario e quando l’ho fatto notare, mi è stato risposto che è un comportamento assolutamen­te lecito. Il responsabile di un sup­plemento culturale dovrebbe di­mettersi, per onestà, da qualsiasi consulenza di tipo editoriale. Que­sto però non avviene». E aggiunge lo scrittore Guido Con­ti: «Il clientelismo della critica è e­vidente. Più che alla sostanza del libro si guarda a fattori personali. Certi giornali preferiscono recen­sire solo alcune case editrici parti­colari e il perché lo si scopre subi­to, in quanto i responsabili delle pagine di cultura pubblicano pro­prio per quelle case editrici o per quei gruppi». A complicare le cose ci si mettono anche gli scrittori che si inventano critici e si recensiscono tra di loro, un po’ com’è abitudine ormai qua­rantennale in Italia nell’ambito del­la poesia, dove i poeti fanno tutto, scrivono i libri, li recensiscono tra loro e poi firmano anche le antolo­gie, senza nessun confronto. Paola Mastrocola, dal suo 'ritiro' torinese se la prende con la critica letteraria che ha perso un proprio metodo: «Non mi piace questa continua me­scolanza di ruoli. La trovo scorretta. Va bene che il critico faccia lo scrit­tore (o viceversa) se ha una voca­zione narrativa o una forte tenta­zione critica, ma non deve recensire altri scrittori italiani. È malsano parlare di gente che frequenti, che fa il tuo stesso lavoro, con cui ti scon­tri magari sul piano delle poetiche. Me­glio astenersi. E non solo per u­na questione di eleganza for­male ». Per Paccagnini si tratta di «una de­viazione critica che diventa delete­ria » e specifica come «non si sia an­cora riusciti a liberarsi del modello Siciliano che esisteva una volta e che era più scafato di quanto succe­de adesso, con una dose di forte in­genuità ». E aggiunge un dato inedi­to, quello del giovane scrittore che dirige le collane letterarie: «Non so­no ancora riusciti a dare un’opera compiuta di sé e valevole di una ci­tazione e già a 26 anni sono respon­sabili o di collane o addirittura si in­ventano maestri nelle scuole di scrittura». Ha invece abbandonato subito la più prestigiosa Marco Missiroli, au­tore de Il buio addosso, 25 anni, transfugo dalla Scuola Holden: «Le scuole di scrittura non sono luoghi di potere, fanno solo perdere la fi­ducia in se se stessi. Hanno il van­taggio di offrire vie preferenziali, ca­nali già attivati, conoscenze con le case editrici. Però la competizione lì è troppa e deleteria». E come so­pravvive un giovane autore che de­cide di rimanere fedele alla propria etica: «Se non hai accettato la logica dei sottogruppi che ti può portare dei vantaggi, stai per i fatti tuoi, ri­mani isolato e vai a finire nel di­menticatoio. L’antidoto è quello di scrivere un buon libro, per stare so­pra qualsiasi giochetto editoriale. Un buon libro sfonda comunque e elimina qualsiasi gruppo, perché credo che le coscienze dei lettori siano ancora molto ricettive». È anche l’antidoto di Paola Mastro­cola: «Se c’è un mondo salottiero che lega gli scrittori non posso dirlo precisamente. Io non frequento niente e nessuno e mi piace stare con gente che non abbia a che fare con la letteratura. Tanto sui libri, più che la critica, decide il pubblico. La mia è l’ottica di uno scrittore che risponde solo ai suoi lettori». Eppure oggi i libri in classifica sono spesso casi costruiti a tavolino, per fare effetto, casi mediatici o trainati dalle pagine culturali dei giornali che sono in piena crisi. Paccagnini è molto severo in questo senso: «C’è stato uno smantellamento del concetto di cultura nei quotidiani e oggi non interessa più l’approfondi­mento, ma la concorrenza. Così tut­to è stato ridotto alla chiacchiera, alla ricerca dello scoop (spesso fal­so), al capolavoro presunto e grida­to. Si è pensato che la cultura, inte­sa come fortino, poteva essere più comunicativa e così è iniziato il processo di spettacolarizzazione, dove cultura equivale a gossip cul­turale. Così se oggi dovessero arri­vare in redazione un inedito di Montale e uno di Moana Pozzi, si sceglierebbe senz’altro quello della pornostar». Il resto viene da sé, di degrado in degrado, con poche sacche di resi­stenza. E un principio sepolto: l’eti­ca personale cui ognuno risponde.
Avvenire del 10 ottobre 2007

Nessun commento: