12 ottobre 2007

E il tempo se ne va. In retromarcia

La concezione lineare della «quarta dimensione» non è più l’unica possibile, per logici e cosmologi forse la freccia temporale potrà essere invertita; ma con molti paradossi Parla il filosofo Bottani
di Andrea Lavazza
Che cos'è il tempo? Nelle Confessioni, Agostino di Ippona, preso da profondo scoramento, scriveva: «Se nessun m'interroga, lo so; se volessi spiegarlo a chi m'interroga, non lo so». Nei 1600 anni da allora trascorsi (ma è giusto esprimersi così? Lo vedremo) la filosofia non ha fatto decisivi passi avanti nella definizione di uno dei suoi concetti fondamentali. «Si tratta di una nozione che non è riducibile ad altre, anche gli studiosi devono fare appello al senso comune senza pretendere una precisione impossibile», spiega Andrea Bottani, presidente della Società italiana di filosofia analitica (Sifa), promotrice di un convegno di rilevanza mondiale sul tema, che incrocia questioni centrali, dall'ontologia all'idea di persona fino ai (possibili) viaggi nel passato.
Se del tempo abbiamo tutti un'intuizione convergente, i filosofi ne hanno invece concezioni diverse, oggi come secoli fa...
«Si possono distinguere principalmente due teorie. Quella assolutista, che ha Newton tra i suoi antesignani, sostiene che il tempo esiste in assoluto e prescinde dagli oggetti; è un "contenitore", come lo spazio. Quella relazionista, al contrario, è forse in maggiore sintonia con la teoria della relatività di Einstein ed afferma che tempo (e spazio) sono "creati" dalla relazione tra eventi e oggetti fisici».
Il divenire è uno degli argomenti più controversi dal punto filosofico, fin dai tempi di Parmenide ed Eraclito, capostipiti rispettivamente delle posizioni secondo cui il cambiamento è un'illusione e l'identità degli oggetti nel tempo non esiste. Qual è lo stato del dibattito?
«Il problema fondamentale è dato dal fatto che gli oggetti persistono nel tempo e - mentre esistono - cambiano. Non è pensabile un mondo senza divenire: i filosofi cercano di chiarire come sia possibile che qualcosa che esiste ora possa essere ancora uguale a se stesso in un momento successivo, sebbene con proprietà diverse. Una posizione, d etta quadridimensionalismo, sostiene che gli oggetti si estendono nel tempo nello stesso modo in cui un tavolo occupa una porzione allungata di spazio. In sintesi, si dice che in ogni istante noi siamo una parte temporale diversa del medesimo aggregato. Ciò confligge con l'idea ordinaria di identità nel tempo. Il tridimensionalismo, invece, afferma che gli oggetti sono completamente presenti in ogni momento, seppure con differenze qualitative. Vi sono poi proposte estreme, come quella recente di Theodor Sider, per il quale nulla persiste ma si succedono, per così dire, nuove versioni, come una sequenza di fotogrammi».
Rilevante per l'idea stessa di libertà dell'uomo è il dibattito in cui si contrappongono le idee di futuro «chiuso» e di futuro «aperto». Ce lo può illustrare?
«Si tratta di concezioni statiche e dinamiche del tempo. Secondo le prime, tra eventi si può parlare solo di relazioni di prima e dopo, che restano immutabili. Il futuro quindi è già dato. E anche il libero arbitrio è destinato a svanire, come nel paradosso del marinaio: caduto nel mare in tempesta, se il suo destino è già scritto, nel caso debba annegare è inutile che tenti di nuotare; nel caso debba salvarsi, è inutile che si affatichi. Se dunque non fa nulla, comunque annegherà. Molti però pensano che il futuro sia aperto, che il tempo scorra, il presente diventi passato e il domani non sia già determinato. Vi è così spazio per la libertà. Altri ancora sostengono il compatibilismo tra visione deterministica e libero arbitrio. Infine, c'è chi, come Peter van Inwagen, ritiene che quello della libertà umana rimanga davvero un mistero, quasi insolubile. Va precisato che qui si semplifica, ma i filosofi non si limitano a enunciare una posizione: la articolano e portano argomenti, spesso per centinaia di pagine».
Di rilevanza legata perfino all'attualità è il tema dell'identità e della continuità personale. A dimostrazione che la filosofia analitica ha qualcosa da dire anche ai no n addetti ai lavori...
«C'è una tradizione, che si rifà a Locke, per cui la continuità è affidata non a una sostanza ma a una connessione tra stati mentali. La memoria, innanzi tutto, cioè il fatto di avere ricordi collegati delle esperienze fatte, ma anche il legame tra intenzione e decisione, tra decisione e azione, poi la stabilità delle credenze e dei desideri. Se mancano tali connessioni (che presuppongono un sistema nervoso funzionante), la persona di oggi non è quella di ieri. E, quindi, un malato in coma profondo non è la stessa entità che era prima dell'incidente. E l'embrione non è la persona che nascerà nove mesi dopo. Una posizione recente e assai interessante si deve, d'altra parte, a Eric Olson, il quale parla di noi come "animali umani", identificati così in modo sostanziale. Possiamo essere "persone" se abbiamo stati mentali, e quindi quella di persona è una condizione transitoria, però abbiamo sempre lo status di "umani", anche da embrioni o da comatosi».
A Bergamo parlerete di viaggi nel tempo?
«Sì. Alcuni filosofi pensano, come alcuni cosmologi, che la freccia temporale possa, in alcune condizioni, essere invertita. La concezione lineare non è l'unica concepibile. Il tempo potrebbe avere una struttura ramificata, con nodi e biforcazioni. Ma gli ipotetici "viaggi" generano paradossi logici affascinanti, come la possibilità di tornare nel passato per evitare che i nostri genitori si sposino. Si tratta di un effetto che agisce per cancellare la propria causa. Tutto ciò darà materia di riflessione per molti anni».
«Avvenire» del 6 settembre 2007

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