23 ottobre 2007

Allo scrittore deve stare a cuore il mondo

«Nuovi Argomenti», al contrario di Lessing e Pamuk, invita a riscoprire l’impegno
di Ranieri Polese
Desiati e Arpaia: «Politica e battaglie civili sono letteratura»
Letteratura e impegno. Scrittori e politica. «Ma quando uno oggi prende posizione, si trova isolato; il minimo che gli può accadere è la presa in giro, spesso è il massacro». Chi parla è lo scrittore Mario Desiati, 30 anni (Vita precaria e amore eterno, Mondadori), che sette mesi fa - l’8 marzo - pubblicava su queste pagine una lettera aperta di «solidarietà arrabbiata» a Pietro Ichino - il docente di Diritto del lavoro alla Statale di Milano minacciato dalle nuove Br - in cui denunciava le reticenze degli scrittori, rimasti silenziosi, praticamente indifferenti. «Dopo quella lettera, di attacchi, accuse, insinuazioni (per alcuni era solo pubblicità per un libro in uscita, ndr) ne ho ricevute tante, potrei pure farci un libro. Oggi, forse, manca il coraggio. Ma soprattutto non c’è un vero senso di comunità tra gli scrittori». Ricorda tutto questo Desiati proprio mentre sta chiudendo il numero speciale di «Nuovi Argomenti» (la rivista fondata da Alberto Moravia e Alberto Carocci) in uscita a novembre e dedicata allo scrittore della Ciociara nel centenario della nascita. «Contiene, questo numero, un questionario moraviano, otto domande rivolte a sedici scrittori proprio come avveniva nelle prime annate della rivista. Il tema scelto è Letteratura e politica». E che risposte avete avuto? «Nella maggior parte dei casi si esprime l’esigenza di una nuova definizione di impegno. Quello vecchio tipo, anni ‘50-70, non ha più senso oggi. E a volte serviva pure a nascondere pecche letterarie dei testi. Saviano e soprattutto Scurati parlano di responsabilità dello scrittore. I più giovani, in generale, sono i più severi». Nata nel marzo del 1953, e finanziata da Adriano Olivetti, «Nuovi Argomenti» doveva essere, secondo le parole di Moravia, «Una rivista di sinistra come "Temps modernes" di Sartre», con una «attenzione per la realtà italiana di tipo oggettivo e non lirico». Il primo numero era dedicato all’Inchiesta su arte e comunismo. E dal ‘53 al ‘61, il tema del comunismo e del suo rapporto con scrittori e intellettuali sarebbe tornato più volte. In una linea di sinistra laica che condannava lo stalinismo, ma che non rinunciava alla critica della logica capitalistica. E in cui troveranno spazio gli interventi sul colonialismo, l’Algeria, la Cina, le due Germanie, nell’idea insomma di una impegnata responsabilità civile e politica dell’intellettuale. Certo, i tempi allora erano assai diversi. C’era la Guerra fredda, si scontravano ideologie solide e forti, lo scrittore era chiamato a prendere posizione, a testimoniare, a farsi «organico». Ad aiutare - si diceva così - la «presa di coscienza». Il crollo del Muro e delle ideologie ha spazzato via tutto questo. Del resto, anche i rapporti di lavoro non sono più gli stessi, come ben sa Desiati che proprio fra i giovani precari ambienta le sue narrazioni. E la lotta di classe - Franco Cordelli - non c’è più. Si ha l’impressione, insomma, che una stagione si sia per sempre chiusa, che un secolo, il Novecento, sia ormai finito negli archivi. «Nel corso del Novecento le occasioni per i letterati di fare politica attraverso le loro opere sono state moltissime: basti pensare al periodo delle guerre mondiali, della rivoluzione sovietica, del fascismo» dice Alberto Casadei, docente di Letteratura italiana all’Università di Pisa, che ha da poco pubblicato il saggio Stile e tradizione nel romanzo italiano contemporaneo (Il Mulino). «È vero però che, dopo la grande stagione dell’impegno, sino agli anni Settanta, ora si guarda con sospetto al politico e più in generale al "civile" in opere letterarie. La satira poi è diventata appannaggio dei comici televisivi. Ciò non toglie che, se si considera la politica in senso lato, le possibilità di intervento ci siano ancora. Penso ai grandi problemi etici su cui i politici sono chiamati a legiferare: la posizione dei letterati sarebbe spesso molto importante e dovrebbe emergere con maggior forza anche sui mass media. Opere come quelle di Eraldo Affinati sono già significative in questo senso. Ma penso anche alle prove "civili", sulla scorta di Pasolini e Sciascia, di Marco Paolini e Daniele Del Giudice su Ustica, oppure alla bella ricostruzione di un assassinio camorristico nell’Abusivo (Marsilio) di Antonio Franchini, oppure all’inaspettato bestseller Gomorra (Mondadori) di Roberto Saviano. Sono opere politiche e civili che non annullano il rapporto con la tradizione letteraria, lavorando originalmente sulle sue forme». Dell’indigestione politica degli anni Settanta parla il nuovo libro di Paola Mastrocola, Più lontana dalla luna in uscita da Guanda: è la storia di Lidia, figlia di una famiglia operaia, che agli slogan, ai cortei, ai collettivi operai-studenti preferisce la poesia. All’epoca chi non faceva politica era etichettato come qualunquista o fascista: «Forse i loro impegni erano parimenti degni» dice la scrittrice. Già, ma allora, è ancora possibile un rapporto letteratura e politica; e se sì, come? Bruno Arpaia parte da una citazione di Elsa Morante: «"Una delle possibili definizioni giuste di scrittore per me sarebbe addirittura la seguente: un uomo a cui sta a cuore tutto quanto accade, fuorché la letteratura". Poiché è chiaro e scontato che con la propaganda o l’impegno non si fa letteratura - dice Arpaia - diciamo che per me lo scrittore dovrebbe essere "coinvolto" nel mondo, nel senso che indicava la Morante. E tra le molte cose che dovrebbero stargli a cuore c’è sicuramente la politica: la sua passione, la sua necessità, e la necessità, comune al cittadino e allo scrittore, di uscire dall’Io in cui siamo rinchiusi e di andare verso il Noi. La letteratura è un modo di dire Noi, ed è dunque sempre, in qualche modo, parte della polis. Il problema sta nel fatto che "la politica è la grande generalizzatrice e la letteratura è la grande particolareggiatrice" (Philip Roth). La letteratura deve entrare nei particolari, nelle sfumature, nei dettagli; la politica deve tagliare, decidere, non tener conto delle sfumature. Per questo il loro rapporto è conflittuale, ma proprio per questo potrebbe essere vivacissimo e stimolante. Io ci provo e ci ho provato, soprattutto con Il passato davanti a noi (Guanda), romanzo sicuramente "politico", che però parla di personaggi complessi, racconta la loro storia e le loro passioni».
L’anniversario In occasione del centenario della nascita di Alberto Moravia (sopra nel ritratto di Renato Guttuso) Bompiani ha appena mandato in libreria l’inedito «I due amici» (pp.416, 19) romanzo politico incompiuto. Tra le altre iniziative editoriali Bompiani propone anche i «Cinque racconti romani» (pp.198, 9)

LA RIVISTA Autori e società, sedici risposte Otto domande per sedici scrittori. Si comincia da «A senso oggi parlare di impegno per uno scrittore?»; si procede con «Chi sono gli Indifferenti nella società e nella cultura?»; si finisce con «Che cosa succede se uno scrittore va al governo?». Il «questionario moraviano» che «Nuovi Argomenti» di novembre propone a Rossana Campo, Paola Capriolo, Furio Colombo, Angelo Ferracuti, Giuseppe Genna, Nicola Lagioia, Valerio Magrelli, Dacia Maraini, Melania G. Mazzucco, Valeria Parrella, Antonio Pascale, Claudio Piersanti, Elisabetta Rasy, Roberto Saviano, Antonio Scurati e Walter Siti, risponde, idealmente, alle riflessioni su letteratura e impegno che due Premi Nobel, Orhan Pamuk e Doris Lessing, hanno fatto sul «Corriere» (il 16 e il 17 ottobre scorsi) mettendo in guardia gli intellettuali dal pericolo di essere al servizio della politica o, peggio ancora, dei politici. Agli «intellettuali inutili» è dedicato un convegno che si chiude oggi all’università di Tor Vergata (Roma), a cui partecipano, tra gli altri, Mario Perniola, Dieter Lesage, William Marx.

«Corriere della sera» del 20 ottobre 2007

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