30 luglio 2007

Universo: sinfonia in chiave di basso

È già tormentone per i ragazzini, che se la scaricano in formato Mp3, la «trascrizione» della musica emessa dalle profondità galattiche. Dal cupo e vibrato eco del Big Bang agli schiocchi ritmati delle pulsar, fino alla tempesta sonora tra Giove e Io e ai sibili delle vampate di idrogeno sul Sole
di Luigi Dell’Aglio
L'astronomo cieco che studia le stelle senza poterle vedere ma ascoltando le frequenze elettromagnetiche dei radiotelescopi ha precorso i tempi. L'aveva capito l'astrofisico americano Carl Edward Sagan (1934-1996), consulente scientifico per Contact di Robert Zemeckis, e perciò aveva inserito quel personaggio nella trama del film. Un'epica fantascientifica che è diventata scienza, tanto che oggi i ricercatori parlano di musica o sinfonia dell'Universo. Appena 380 mila anni dopo il Big Bang, l'Universo emette un suono acuto che ricorda quasi il vagito di un bimbo appena nato. Segue poi un tono grave come quello del contrabbasso; a volte sembra un ruggito. C'è chi paragona il suono del Big Bang al rombo di un aereo che vola basso nel silenzio della notte. Il cosmo incute rispetto, con tutti i suoi suoni, variabili e misteriosi. Anche la stella gigante Xi Hya usa i toni ultrabassi. Quando Giove "parla" con una delle sue lune, che porta il nome dell'amata e sfortunata ninfa Io, esplode una tempesta sonora che può durare molte ore. Il Sole, ascoltato e analizzato da Robert von Fay-Siebenburgen e da Youra Taroyan, dell'Università di Sheffield, in Inghilterra, ha la performance di un gigantesco organo a canne o di una potente chitarra, riferiscono i due astronomi. Ma quando dall'arroventata corona solare si levano imponenti vampate di idrogeno, pari a milioni di gradi Celsius, ecco sottilissimi sibili, e risonanze che fanno pensare a John Cage, pioniere dell'ambient music.
Avvincenti i suoni prodotti dalle aurore che si formano su Ganimede, il più grande e luminoso dei satelliti di Giove, scoperto (come Io) da Galileo Galilei. Dalla nebulosa del Granchio, le pulsar (Pulsating Radio Source) emettono intense radiazioni elettromagnetiche, che si traducono in uno schiocco secco, periodico e regolare come un metronomo; musica percussionistica che piacerebbe alle avanguardie. Le Leonidi, sciame di stelle cadenti, producono suoni con le loro meteore. La sonda Cassini-Huygens h a registrato l'eco dei turbini che martellano l'atmosfera di Saturno. Insomma, uno spazio che "respira", tutto da ascoltare. La sinfonia dell'Universo è così richiesta che, per renderla accessibile al pubblico, specie quello giovane, e agli aficionados della musica «in cui nessun suono è prodotto intenzionalmente», è sorta Radio Astronomy (www.radio-astronomy.net).
Che queste vibrazioni abbiano realmente accompagnato la nascita e la vita dell'Universo è dimostrato da una quantità di esperimenti e confermato dagli astronomi. Bisogna risalire a un importante evento: la scoperta della radiazione cosmica di fondo (Cosmic Background Radiation), che è quanto rimane dello smisurato calore creatosi con il Big Bang. Di questa radiazione si erano accorti per primi Arno Penzias e Robert Wilson; cercavano di far funzionare un'antenna per microonde, nei laboratori della Bell Telephone, ma era venuta fuori un'inspiegabile radiazione, del tutto sconosciuta sul pianeta e dunque di origine extraterrestre. Ma fu David Wilkinson a capire che quel fioco segnale era la voce che veniva dal lontanissimo Big Bang, residuo dell'immenso calore che si era sprigionato. Secondo alcuni, nella radiazione fossile di fondo si sono impresse le onde acustiche esistenti nell'Universo primordiale. Inoltre, al principio, l'Universo era composto da un gas di particelle elementari con zone più dense e meno dense; le perturbazioni nate da queste differenze si propagavano come le onde sonore. Il satellite Wmap (Wilkinson Microwave Anisotropy Probe) ha tradotto in suono la radiazione cosmica che è testimone dell'esplosione primordiale. Di qui la musica dell'Universo.
Ci si chiede: l'Universo è nato a tempo di sinfonia? Da quattordici miliardi di anni fa, quando il cosmo era più giovane, più caldo e soprattutto più denso di oggi, non ci arrivano vere e proprie note musicali. Come fanno osservare gli astronomi di Sheffield, i satelliti Soho (Solar Heliospheric Observatory) eYokho ("Raggio di Sole") hanno studiato le immagini e i dati provenienti dalla regione più esterna del Sole e, applicando nuovi modelli teorici, hanno potuto misurare le onde sonore. Hanno accertato che i suoni sono migliaia di volte più bassi di quelli che l'orecchio umano arriva a percepire. Dalle immagini raccolte dai vari satelliti (in particolare da Cobe, dall'attuale Wmap e dal futuro Planck), e dagli esperimenti Boomerang e Maxima con palloni stratosferici, oggi si può ricostruire lo spettro dei suoni primordiali.
Ma la musicologia dell'Universo è scienza ancora in fasce. Quasi tutti i corpi celesti vibrano come strumenti musicali e perciò producono suoni: dal mormorio al rombo, fino al fruscio al clic, al rumore puro. Ma vent'anni fa John Schwartz e Gabriele Veneziano hanno lanciato la teoria delle stringhe: l'Universo sarebbe occupato non da particelle elementari sempre più piccole ma da stringhe, filamenti infinitamente sottili, la cui lunghezza estremamente variabile può coprire sia millimetri che le distanze fra le galassie. Allora la sinfonia dell'Universo sarebbe composta dalle vibrazioni delle stringhe? Ogni corpo celeste farebbe parte di un'immensa orchestra. I teenager comunque non entrano in queste dispute e va già di moda scaricare i vari brani della sinfonia dell'Universo nel lettore Mp3 che si porta appeso al collo, o come suoneria di cellulari. Mai l'Universo era entrato così profondamente nella nostra vita.
«Avvenire» del 22 luglio 2007

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