18 luglio 2007

Se il cittadino chiede i danni

Come reagire quando la scuola non funziona
di Pietro Ichino
Il Corriere di venerdì ha dato notizia dell’alto numero di bocciati all’esame di maturità nella classe di una scuola media superiore di Milano che ha avuto la sfortuna di avere come docente - si fa per dire - il professor M.: il super-assenteista il cui caso avevamo denunciato nell’ottobre dell’anno scorso. Le famiglie, indignate, dichiarano di voler muovere causa all’amministrazione scolastica per essere risarcite dal danno causato dal non-insegnante. Non faticheranno a vincere la causa: il danno è grave e la colpa è evidente. Non solo la colpa del professore, la cui nullafacenza è stata accertata in tempi diversi da due ispettori, ma anche quella dell’amministrazione scolastica che, nonostante le ripetute denunce di una preside seria e coraggiosa e i due referti ispettivi, non ha mai adottato l’unico provvedimento che poteva e doveva essere adottato: il licenziamento. C’è solo da domandarsi perché le famiglie non abbiano chiesto il risarcimento molto prima della bocciatura alla maturità, visto che quella deplorevole situazione si protraeva da anni: perché qui il vero grave danno non sta tanto nell’insuccesso finale, quanto nell’ignoranza cui lo studente è condannato dal professore che non insegna. Sarebbe molto importante che tutti incominciassero a fare la stessa cosa: chiedere il risarcimento del danno all’amministrazione scolastica nei casi analoghi a quello del professor M. (che sono assai numerosi: è raro che uno studente non incontri almeno un professor M. nel corso dei suoi studi). Sarebbe un inizio, sia pure un po’rudimentale, di quello che in Gran Bretagna chiamano civic auditing: il controllo e la valutazione dei cittadini sul funzionamento delle amministrazioni pubbliche. Se la richiesta del risarcimento si diffonderà - e le associazioni degli utenti possono fare molto per favorirla - il ministro e i dirigenti scolastici saranno finalmente costretti ad aprire gli occhi almeno sui casi più clamorosi ed evidenti di incapacità o rifiuto di insegnare da parte del docente. Si porrà fine alla prassi assurda oggi in vigore, per cui il professore nullafacente non viene mai licenziato: se proprio gli va male, viene trasferito, cioè inviato a far danni in un’altra scuola (anche al professor M. è andata così: nel febbraio scorso è stato trasferito in una scuola della periferia di Milano, dove ha ovviamente perseverato nel suo comportamento precedente). La realtà è questa: il grado massimo di inefficienza che un’amministrazione pubblica può raggiungere è, in generale, quello che la cittadinanza è disposta a sopportare. Almeno nella scuola - settore chiave per il progresso sociale del Paese - i cittadini devono imparare a essere molto meno pazienti. Lo Stato, dal canto suo, deve incoraggiarli, dotandosi di un sistema efficiente di valutazione capillare della produttività delle scuole e dei singoli docenti, che raccolga sistematicamente anche il giudizio di studenti e famiglie; questo renderà più facile individuare i professori migliori per pagarli meglio, ma anche rimuovere gli incapaci e sanzionare chi si sottrae al proprio dovere. Consentirà, poi, che la Corte dei Conti finalmente incominci a chiedere il conto ai dirigenti pubblici che tollerano tutto, compresi gli inadempimenti più gravi e plateali. Anche per quest’ultimo aspetto il caso del professor M. sembra destinato a segnare una svolta: il 14 giugno scorso il Procuratore regionale lo ha citato in giudizio davanti alla Corte dei Conti per il risarcimento del danno da lui causato all’amministrazione statale, valutato in 124.200 euro. Attendiamo che il Procuratore citi in giudizio anche chi avrebbe potuto e dovuto da molto tempo metterlo alla porta e non lo ha ancora fatto.
«Corriere della sera» del 16 luglio 2007

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