17 luglio 2007

Se ancor oggi il mito delle Br cattura un giovane di 19 anni

Qualche riflessione su un fascino decisamente fuori tempo
di Gabriella Sartori
Di lui, il funzionario della Digos che l'ha interrogato dice che "è intelligente e preparato". E il preside dell'istituto superiore dal quale, dopo cinque anni di immacolata carriera scolastica, è appena uscito, lo ricorda come uno studente modello che si è sempre fatto apprezzare per la serietà con cui sosteneva il ruolo di rappresentante degli studenti, preoccupato com'è sempre stato "che le cose fossero fatte al meglio, come si deve". Eppure lui, Giampietro Simonetto, diciannove anni, da Cittadella, nuova recluta delle Brigate Rosse italiane, invece di godersi le vacanze come i suoi coetanei, è rinchiuso a S. Vittore con un terribile carico di accuse: banda armata e associazione eversiva con l'aggravante di finalità terroristica e di eversione dell'ordine democratico. Parole che, solo a pronunciarle, hanno il peso di un macigno, tanto più se si pensa a quanto sia giovane il "bravo" ragazzo che se le è tirate addosso.
Che la cronaca non si sia soffermata più di tanto sulla tragedia in cui Giampietro è entrato, con la furia dei suoi pochissimi anni, non meraviglia. Si sa che si "vende" molto di più a parlare di scandali, di veline, di polemicuzze politiche. Ma che - in pieno 2007 - ci sia un giovane, tutt'altro che stupido e "cattivo", che si lascia abbacinare da un'ideologia stravecchia e tragicamente bocciata dalla storia, questo preoccupa e stringe il cuore.
Una domanda urge: perchè e come è potuto accadere? Certo, in un mondo post-moderno come il nostro, in cui pare che niente manchi, tranne gli ideali, in cui il successo sembra più importante che battersi per un'idea, può accadere che un ragazzo, specie se non stupido e non cattivo, pretenda qualcosa di più. Può voler dare un "senso" alla propria esistenza, può sentire il desiderio di aver davanti a sé esempi di vita in qualche modo "alti". Può aver sete di "cose fatte come si deve", ossia di giustizia, di pulizia morale, di onestà e dedizione a qualche nobile causa. Può voler "rivoluzionare" il mondo che lo circonda .
E, in Italia, cosa trova? A fronte di una classe dirigente che, in concreto, sta dando esempi a dir poco scoraggianti, esiste e resiste come in nessun altro paese di pari sviluppo democratico una vasta area cultural-politica che, per pigrizia mentale, per ostinazione ideologica o simili, non sa e non vuole districarsi dalle mitologie "comuniste". In questo clima, è dunque possibile che un giovane di belle speranze creda di poterle realizzare scegliendo la parte sbagliata solo perché qualcuno gli fa credere che quelle idee sono giuste e vere, che quegli uomini sono stati degli "eroi". Finendo così con il correre incontro alla propria e all'altrui rovina.
Di questi tragici errori, di questo genere di vittime, troppo poco si parla quando si analizzano le colpe della politica o quando i esaltano le "virtù" della cultura dominante in cui non c'è posto per i valori se non sono "relativi" e individualmente "consumabili" qui e subito. In questo contesto non sorprende che il messaggio evangelico, con tutta la radicalità e la verità che lo caratterizza e con la forza morale di chi lo testimonia ogni giorno fino all'eroismo, si collochi del tutto controcorrente. Ma proprio per questo, è principalmente qui che possono trovare risposte "forti" e "alte" coloro che disperatamente le cercano. L'importante è non cedere a chi, anche all'interno della Chiesa dei credenti, crede che il Vangelo parlerebbe meglio al "mondo" solo se lo si "addomesticasse" almeno un po', solo se fosse reso più "accessibile", in altri termini: più "negoziabile".
Ciò che addolora è che sia così difficile, in mezzo a tante carenze e debolezze dei credenti, in mezzo a tante voci ed esempi contrari, far giungere queste ricchezze vitali a chi ne ha fame e sete. Come i Giampietro Simonetto, tanti o pochi che siano, cui nessuno riesce a dare quel pane e quel vino che, nella foga dei loro vent'anni, vanno a cercare dovunque e comunque, anche là dove mai li potranno trovare.
«Avvenire» del 10 luglio 2007

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