30 luglio 2007

Ricerca, se le ragazze rinunciano: «Ma io non sono all'altezza...»

I risultati di una indagine a tappeto nelle scuole: i ragazzi invece non mostrano incertezze
La demografa del Cnr Palomba: "Il problema esiste, lavoriamo per superare pregiudizi"
di Tullia Fabiani
La prima domanda è: quanto si guadagna? E la fanno maschi e femmine, senza distinzione. La seconda però già fa la differenza: "Secondo lei io posso fare il fisico teorico?". Le ragazze chiedono se sono all'altezza, se hanno la capacità, se lo meritano. I ragazzi, nella maggior parte dei casi, non si pongono il problema e ci provano comunque. L'approccio al mestiere di ricercatore si presenta come una questione di genere; è una specie di vocazione nell'immaginario femminile, una scelta professionale (né più né meno) per i ragazzi.
A rendere questa visione di disparità è un'indagine che ha interessato 43 scuole italiane. Nell'ambito del progetto 'Diva', Science in a Different Voice, nato per sensibilizzare i giovani alle carriere scientifiche, Rossella Palomba demografa dell'Istituto per le ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Cnr e Ambasciatrice europea per le pari opportunità nella scienza, ha incontrato circa 2.000 studenti negli ultimi due anni. E ha rivolto loro questionari aperti sul mondo della scienza e della ricerca.
I risultati e i consigli. Se per le ragazze ricerca vuol dire soprattutto libertà (18 per cento), per i ragazzi è gusto della scoperta (24 per cento). Inoltre, se il 33 per cento degli studenti maschi pensa che fare ricerca sia una questione di 'passione', le ragazze ci aggiungono anche una buona dose di divertimento (54%). E forse anche per questo il 70 per cento delle studentesse apprezza del mestiere la possibilità di viaggiare. Per entrambi i sessi poi, la fantasia è una qualità necessaria a un buon ricercatore: ne è convinto il 58 per cento delle studentesse e il 33 per cento dei ragazzi intervistati; inoltre sono le donne (43 per cento), più degli uomini (24 per cento), a ritenere utile la collaborazione per ottenere risultati in campo scientifico. Ma il dato che su tutti evidenzia la differenza dell'approccio è quello secondo cui solo il 18 per cento delle studentesse è convinto che le donne siano portate per la ricerca, perché in possesso di una mentalità flessibile e abituate a fare più cose contemporaneamente.
"Di fronte a questa insicurezza come ambasciatrice ho cercato in tutti i modi di incoraggiare le ragazze e di accrescere la loro autostima - racconta Rossella Palomba - elencavo loro una serie di qualità importanti: fantasia, creatività, modestia, e poi chiedevo a ognuna: tu ce le hai? Quasi sempre la risposta era affermativa e allora dicevo che poteva sicuramente fare la ricercatrice".
Ma le donne che vogliono fare ricerca devono conoscere anche la regola dei tre metalli. "È una regola fondamentale: salute di ferro, nervi di acciaio, marito d'oro. E alle studentesse ho sempre precisato di stare attente - dice la demografa - perché il marito di piombo non fa per noi..."
Il problema dell'orientamento. Che il tema delle pari opportunità non sia sentito come rilevante neppure dalle giovani donne è preoccupante per la ricercatrice dell'Irpps. Ma ci sono anche altri problemi che riguardano in generale tutti gli studenti e che condizionano gravemente le loro scelte, a cominciare dall'orientamento. "C'è una solitudine impressionante nella scelta fondamentale del corso di laurea - spiega Palomba - spesso non hanno un'idea precisa e non riescono a tirar fuori quello che desiderano fare, perché non conoscono affatto il tipo di lavoro che li aspetta dopo l'università. Nell'orientamento che viene fatto dai professori universitari, si parla pochissimo di lavoro e molto di studio. Manca un vero e proprio orientamento alla professione, che è invece la cosa che più incuriosisce e interessa i ragazzi".
Così, in mancanza di convinzioni solide e informazioni pratiche sul futuro lavorativo, gli studenti scelgono spesso basandosi soprattutto sulle decisioni degli amici, sulla vicinanza dell'università da casa, su quello che vogliono i genitori. O su altri curiosi elementi: "Ad esempio mio figlio ha fatto Economia e un giorno mi ha spiegato che aveva visto Pretty Woman e aveva deciso di diventare come Richard Gere, un finanziere", nota l'ambasciatrice. Alla fine anche le scelte inconsapevoli o irrazionali possono funzionare, ma "rimane il fatto che le scuole dovrebbero garantire un orientamento efficace". Se gli studenti, in genere, considerano il mestiere di scienziato un mestiere di élite, se lo immaginano come un grande privilegio, troppo lontano dalla quotidianità e se pensano che in fondo è meglio fare il funzionario di banca, perché più alla portata e più comune, evidentemente "è perché nessuno spiega loro quello che fanno davvero gli scienziati".
Perciò nel suo lavoro di ambasciatrice Rossella Palomba racconta ai ragazzi del suo mestiere, della ricerca, ma dice anche che va al cinema, al mare, in pizzeria. Che fa la spesa al supermercato e che molte delle idee migliori le vengono proprio mentre gira col carrello.
«La Repubblica» del 23 luglio 2007

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