21 luglio 2007

Mistica: quando lo stupore per Dio era un balbettio d'amore

di Maurizio Schoepflin
Scrive monsignor Vincenzo Pelvi, vescovo ausiliare di Napoli, nella presentazione del libro di Francesco Asti, Dire Dio. Linguaggio sponsale e materno nella mistica medievale: «Lo stupore dei mistici afferrati e incantati dal Mistero affascina particolarmente il nostro tempo. La mistica sembra presentarsi oggi come "luogo" che avvicina lo studio speculativo del fatto religioso e la domanda di interesse sul trascendente». In effetti, la nostra epoca secolarizzata e relativista, che sembra sorda a molti richiami provenienti dall’universo religioso, risulta affascinata e per certi aspetti positivamente inquietata dalla dimensione misteriosa dell’Assoluto e dell’Invisibile, da quella dimensione, cioè, che più si collega con l’esperienza dei mistici, il cui linguaggio opera una suggestiva saldatura fra cielo e terra. Proprio questa straordinaria propensione della mistica a unire l’umano e il Divino, percorrendo vie tanto impervie quanto affascinanti, costituisce una delle sue maggiori attrattive: a Francesco Asti va il merito di aver saputo scandagliare le testimonianze di alcuni grandi mistici medievali, facendo perno sull’uso che essi fecero del linguaggio tipico della vita matrimoniale e dell’esperienza della maternità. I sette capitoli del libro sono dedicati a indagare l’esperienza mistica di altrettanti protagonisti della spiritualità del Medio Evo: San Bernardo, Gertrude di Helfta, Margherita d’Oingt, San Francesco, Santa Chiara, Angela da Foligno e Giuliana di Norwich. Sostiene Asti: «Nella storia del cristianesimo i contemplativi hanno dimostrato che la percezione spirituale del mistero è sempre mediata: Dio nel comunicarsi ha scelto la mediazione dei segni per giungere fino al cuore dell’uomo». Il ricorso alle metafore dello sposalizio e della maternità permette al mistico di dire che Dio è innanzitutto amore. Si legge ancora nella presentazione di monsignor Pelvi: «Come tradurre l’irruzione della presenza divina? La sua forza, il suo essere personale e originale, spinge i mistici a ricorrere alle espressioni più sorprendenti. Trattandosi di una conoscenza che unifica, i termini di paragone sono tratti dalle unioni umane più strette». Il mistico vive con Dio un rapporto trasformante e lo rende esplicito attraverso un linguaggio vicino al sentire quotidiano e alla parte sentimentale dell’uomo. Conclude Asti: «Solo gustando la salvezza nella dimensione temporale, tutto l’uomo si protende verso la sua patria originaria».

Francesco Asti, Dire Dio. Linguaggio sponsale e materno nella mistica medievale, Libreria Editrice Vaticana, pp. 368, € 22,00
«Avvenire» del 20 luglio 2007

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