30 luglio 2007

E Dio creò il big bang

L’accademico di Francia anticipa i contenuti del suo prossimo libro «La creazione del mondo»
di Jean D’Ormesson
Jean d’Ormesson: creazionismo ed evoluzione non sono incompatibili
La Création du monde è un’opera a metà strada tra la Bibbia e un fumetto, tra testo sacro e ironia. L’intreccio è dei più semplici: quattro amici trascorrono otto giorni di vacanza su un’isola greca. Niente posta, niente fax o email, niente telefono, niente appuntamenti. I quattro amici sono Edgar - uno psichiatra di successo tra New York e Parigi -, François - professore di fisica matematica applicata alle scienze biologiche -, André - intellettuale scettico che si interessa di politica -, e infine il narratore, di cui non si sa molto. Edgar si è portato dietro un manoscritto che ha ricevuto prima di partire e che solletica la sua curiosità. È redatto da un certo Laquedem (è questo uno dei nomi dell’ebreo errante, conosciuto anche come Ahasverus, Cartaphilus oppure Buttadaeus). Il testo narra una serie di sogni nei quali Dio si manifesta al narratore sconosciuto, gli esprime i timori che prova davanti alla follia degli uomini che vogliono allontanarlo dalla marcia della Storia e gli spiega quali fossero le sue intenzioni nel creare l’universo. Dio, in passato, si era già rivolto ad Abramo, a Mosè, a Maometto. E poi se n’è rimasto zitto a lungo. Il genio degli uomini ora lo intimorisce e ha scelto Laquedem in veste di novello Abramo, novello Mosè o novello Maometto, per tentare di salvare l’umanità dai disastri che si sta preparando con le sue stesse mani. Questo manoscritto preoccupa Edgar. Si tratta di uno scherzo? Di un’opera geniale? La testimonianza di una sorta di follia paranoica? Ecco che cerca il parere dei suoi tre amici. Dopo qualche esitazione - dopo tutto, i quattro hanno voglia di andare al mare, di fare il bagno, di prendere il sole, di riposarsi per otto giorni -, gli amici decidono di leggere ogni giorno qualche pagina del manoscritto di Laquedem e di commentarlo. Ben presto, i quattro lettori adottano nei confronti del manoscritto atteggiamenti diversi. Edgar è convinto che rappresenti un ottimo esempio di quella follia mistica oggi molto diffusa. Pensa che Laquedem sia uno squilibrato e che sarebbe interessante cercare di curarlo. François, da bravo rappresentante della vera scienza, si indigna leggendo il testo, scorgendovi traccia di quello che gli americani chiamano l’«Intelligent design». O peggio ancora: che non sia l’offensiva del «Creazionismo»? André e il narratore si divertono a osservare le reazioni di Edgar e di François. Ma che cosa racconta Dio a Laquedem in questi sogni deliranti? Comincia, come c’era da aspettarselo, dal principio. Ovvero dalle origini dell’universo: il big bang. Prima del big bang non esiste nulla. Né mondo, né spazio, né tempo, né movimento e neppure il vuoto. Esiste solo l’eternità e il nulla. Il nulla è l’eternità e, per un certo verso, Dio stesso, essendo eternità, è anche il nulla. Il passaggio dal nulla a quella minuscola punta di spillo, più piccola ancora - e di molto - dell’atomo più infinitesimale, sottoposta a temperature inimmaginabili, con una massa travolgente, questo è l’unico mistero e l’unico miracolo. La domanda che emerge, è Leibniz che la formula e nessuno riesce a crederci: «Quid aliquid potius nihil?» («Perché esiste qualcosa invece di niente?»). Nella punta di spillo infinitesimale del big bang, protetta dal celebre muro di Planck che vieta alle leggi dell’universo di trovare applicazione nelle primissime frazioni di secondo, è già presente l’universo intero, tutta la storia dell’umanità - Alessandro Magno, papa Giulio II, Napoleone e l’articolo stesso che avete sotto gli occhi. Apparso successivamente al nulla che si confonde con lo spirito di Dio, il quasi niente uscito dal niente è già quasi tutto. Ciò che crea innanzitutto il big bang è lo spazio - e soprattutto il tempo. Dopo il grande e unico mistero del big bang, quando il nulla si trasforma in tutto (ma il nulla, prima del big bang, era già il tutto), il tempo resta l’enigma degli uomini. «Se tu non mi chiedi che cos’è il tempo - scrive Sant’Agostino nelle sue Confessioni -, io so che cos’è; ma non appena tu me lo chiedi, ecco che non lo so più». Lo spazio è un grosso coniglio che non smette mai, come l’ha dimostrato Hubble, di crescere e di svilupparsi. Il tempo non è nulla - o quasi nulla - ma è tutto. L’universo intero non è altro che il big bang elaborato dal tempo. L’eternità è semplicissima. La morte, che noi tutti conosceremo, ce ne dà un’idea. Con il suo futuro e il suo passato che non si trovano da nessuna parte, se non nello spirito degli uomini, con il suo presente nel quale ciascuno di noi non smette mai di vivere e che, schiacciato tra l’immenso avvenire e l’immenso passato, non esiste quasi, poiché svanisce con ogni istante che passa, il tempo è un meccanismo di una complessità diabolica. Noi viviamo immersi nel tempo come i pesci nell’acqua. Non possiamo pensare né immaginare nulla al di fuori del tempo. La nostra esistenza è metafisica appunto perché legata al tempo. Che cos’era il tempo prima che ci fossero stati gli uomini per pensarlo, prima che gli astri nel cielo imponessero la successione degli anni, delle stagioni, del giorno e della notte? Non riusciamo a immaginarlo. Il tempo tuttavia esisteva, poiché tra il big bang e noi sono trascorsi qualcosa come tredici miliardi di anni. Cinque miliardi di anni fa si sono formati il nostro Sole, la Luna e la Terra. Cinquecentomila anni più tardi, spuntata dal big bang, dall’energia primitiva, dalla polvere di stelle, appare qualcosa di stupefacente che porterà allo sviluppo dell’autonomia e della riproduzione: la vita. Ecco la rivoluzione più sconvolgente dal big bang in poi. Dio assicura a Laquedem che la vita, effimera e fragile, è limitata alla Terra. François, il professore, va su tutte le furie. Si vede costretto a combattere sul fronte opposto: tutta la vita si è scagliato contro Ufo ed extraterrestri, contro gli ometti verdi della fantascienza, ma non può accettare che si affermi che la vita esiste solo sulla Terra. È convinto che non se ne sappia ancora nulla e che Laquedem, come al solito, racconta quello che vuole. Dopo il big bang e la vita, ecco la terza rivoluzione: il pensiero. Scaturisce dalla vita come la vita scaturisce dalla materia e come la materia scaturisce dal big bang. Il pensiero appartiene all’uomo. Esistono animali molto più intelligenti di molti uomini, gatti che prendono il treno, delfini che giocano con i bambini. Ma solo l’uomo pensa tutto e pensa se stesso, solo l’uomo sa che dovrà morire. Dietro di noi, ecco l’inizio dell’uomo. Davanti a noi, la sua fine. L’uomo è transeunte come lo stesso universo. Non è la causa dell’universo, né il suo scopo. Ma, in virtù del suo pensiero, l’uomo rappresenta una tappa gloriosa del tutto di cui resta l’unico, assieme a Dio, a comprendere la grandezza. Dai suoi inizi, poiché egli pensa, l’uomo genera una specie di strana realtà: la storia. Innanzitutto, la storia vissuta globale, che consiste nella totalità degli stadi successivi della materia, della vita e del pensiero, e che si confonde con Dio. E successivamente la storia degli storici, che è composta dalla scelta più o meno arbitraria di un certo numero di avvenimenti. La storia ha un senso oppure resta, come nelle parole di Shakespeare, un racconto pieno di rumore e di furore, riferito da un idiota, che non significa nulla? Dio rivela a Laquedem che la storia degli uomini ha un senso, ma che questo senso resterà loro nascosto fino alla fine dei tempi. Non è solo il senso della storia che resta nascosto agli uomini, ma Dio stesso. Dio non rivela alle creature né la sua esistenza, né la sua inesistenza. Resta il Dio sconosciuto e si confonde in una ricerca infinita. Creando a beneficio degli uomini questo sogno continuo e coerente che noi chiamiamo realtà, Dio ha voluto seminare il dubbio sulla sua propria realtà. Tutto si spiega tramite lui. Ma grazie ai meccanismi attivati dall’universo, tutto può spiegarsi anche senza di lui. Da un capo all’altro dello studio del manoscritto di Laquedem, François si attiene al gioco del caso e della necessità. Rifiuta ogni genere di piano prestabilito e qualunque finalità. André e il narratore si mostrano più esitanti. Edgar si ostina invece a indagare i meccanismi della pazzia di Laquedem. Dopo otto giorni di lettura del manoscritto e di discussioni sullo spazio e il tempo, sui numeri che paiono quasi la firma di Dio, sul mistero della bellezza, evidente e al tempo stesso inspiegabile, sulle parole che svaniscono nel tempo e sulla scrittura che rappresenta la loro traduzione nello spazio, i quattro amici si separano per tornare ciascuno a casa sua. Due capovolgimenti successivi, che non vogliamo svelare, chiudono il libro su un doppio paradosso. È lecito sostenere che quest’opera, al contempo favola ironica e trattato di metafisica, rende superflue tutte le altre. Si potrebbe dire, ripetendo la formula di un autore anonimo: «La cosa più importante è Dio, che esista o non esista».
(Traduzione di Rita Baldassarre)
Jean d’Ormesson è nato a Parigi nel 1925. È membro dell’Académie française ed è stato direttore del quotidiano «Le Figaro». Scrittore di fama internazionale, ha ricevuto una laurea honoris causa dall’Università di Urbino L’opera E’in uscita in Italia «La creazione del mondo», il libro di Jean d’Ormesson (Spirali, pagine 203, 20) Con «Il romanzo dell’ebreo errante» (1992), d’Ormesson ha vinto il premio «Grinzane Cavour»
«Corriere della sera» del 27 luglio 2007

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