18 luglio 2007

Così la ragione aiuta a conquistare la fede

Il Patriarca di Venezia Angelo Scola anticipa i temi del discorso su scienza e credo
di Aldo Cazzullo
«Politici, la coerenza è obbligatoria per cattolici e anticlericali»
Il cardinale Angelo Scola, successore di Roncalli e Luciani al patriarcato di Venezia, teologo formatosi accanto a Wojtyla e Ratzinger, sta rivedendo il discorso che pronuncerà oggi, alla festa del Redentore, sul rapporto tra scienza e fede. Patriarca, nel dibattito pubblico i due termini sono sempre più in contrapposizione. «Più che dal dibattito pubblico, sono partito dalle cresime di quest’anno. Non è semplice far capire lo Spirito Santo a bambini cresciuti nel tempo della Second Life. Immersi come sono nella mentalità corrente, pensano lo Spirito Santo come fenomeno virtuale, non reale. Ma io chiedo a loro, e a tutti noi: esiste solo ciò che è misurabile empiricamente? Oppure ci sono realtà che pure appartengono alla nostra esperienza, capaci di dirci verità molto importanti anche se non misurabili? C’è una dimensione in noi che non può essere ridotta al puro calcolo. Questa dimensione è lo spirito. La possiamo chiamare anima. Contro di essa oggi si erge un’obiezione che non è più quella scientista classica, quella di Comte, secondo cui la domanda delle domande - chi mi assicura alla fine? Chi mi ama oltre la morte? - non poteva più essere posta perché non aveva più ragion d’essere. Certo, trovi ancora chi dice che bisogna svincolare le scienze dalla religione, come trovi chi dice che non possiamo essere cristiani e neppure cattolici...». Questa è per Odifreddi. «Ma oggi le neuroscienze non procedono più come lo scientismo tradizionale. Non escludono il valore delle credenze e della religione; anzi, studiando il rapporto tra cervello e mente, arrivano a dire che il cervello funziona in modo tale da generare credenze. La domanda religiosa non è più pregiudizialmente rifiutata, semmai depotenziata: la risposta alle domande dell’uomo verrà sempre più dalla scienza, evolutasi nel suo rapporto con la tecnologia in tecnoscienza. Questa è la vera ragione della globalizzazione: stiamo esportando in tutto il mondo la convinzione che la tecnoscienza produrrà la felicità». Anche lei critica la globalizzazione? «Constato che la tecnoscienza ha prodotto una sorta di universalismo scientifico, per cui se una cosa ha il marchio della scienza viene considerata indiscutibile. È paradossale: in un mondo che non ammette alcun assoluto, funziona l’assoluto pratico dell’universalismo scientifico. Io non contesto la correlazione tra cervello e mente; ma mi rifiuto di considerare il rapporto tra cervello e mente nei termini di causa ed effetto. La rilevazione dei processi cerebrali non è la spiegazione totale del fenomeno mente. Qual è il fattore che impedisce questo appiattimento? La tradizione lo chiama anima. Oggi è diventata un tabù. Invece bisogna ritornare a parlarne riconoscendo che esiste una dimensione dell’uomo che non è né puro cervello, né pura mente, né puro rapporto tra mente e cervello, ma un oltre, un altro - l’anima appunto - connessa in maniera strutturale al mio corpo». Per cui fede e ragione non sono in contrasto? «Ho letto un’interessante definizione di un neuroscienziato: la scienza è l’incursione immaginatrice in ciò che può essere vero. Per questo è inaccettabile che la ragione possa coincidere soltanto con la dimensione teorico-pratica utilizzata dalla tecnoscienza. Si deve riconoscere che esistono altri livelli della ragione ed educare a questi. Da qui il richiamo di Benedetto XVI ad allargare la ragione: c’è una ragione speculativa, che è quella classica, c’è una ragione teorico-scientifica, c’è una ragione pratico-tecnica, c’è una ragione pratico-etica, c’è una ragione poietico-espressiva che è quella propria dell’arte. Se si negassero questi diversi livelli di ragione, la stessa formidabile impresa neuroscientifica ricadrebbe in una nuova forma di scientismo, meritando la critica di riduzionismo. Invece la scienza oggi, a differenza di 40-50 anni fa, non ha paura di parlare di verità. Esiste quindi un terreno su cui è possibile lavorare insieme». Però su molti temi, dalla ricerca sulle staminali alla fecondazione assistita, la Chiesa appare piuttosto un freno. «La Chiesa non fa che ricordare all’uomo la sua interezza. Se considero la felicità come un puro prodotto della tecnoscienza, finirò col proiettarla solo nel futuro. In questo caso inesorabilmente sentirò come un freno ogni richiamo alla totalità di senso, al peso del presente e del passato, che sono invece necessari perché l’uomo sia veramente felice. In fondo è come se la Chiesa dicesse all’uomo: siamo della stessa stirpe di Dio; se ti abbandoni a questo puoi tentare tutto. Altrimenti puoi tuffarti in abissi inesplorati, rischiando di non tornare a galla. La Chiesa dice un grande sì all’interezza dell’umano e all’ampiezza della ragione. Non in nome di una teoria, ma di un’esperienza millenaria; in nome del fatto che l’esperienza di male che mi porto dentro è stata vinta da Uno che ha dato la vita per noi. L’uomo di oggi rischia di sentire la Chiesa come un freno quando dimentica l’anima, e con essa la totalità dell’uomo». Perché allora la Chiesa sembra diffidare della scienza? «Il dominio della tecnoscienza si fa palese nel suo influsso sull’edificazione delle democrazie occidentali e sulla formazione delle leggi, per cui risultano decisivi sempre e solo i risultati delle scienze empiriche. Ora, la tecnoscienza ha il dovere di fornirci tutti gli elementi disponibili sulla vita e sulla morte, ma non può deciderne da sola, senza lasciare spazio ad altri livelli di senso». C’è anche un’accusa contraria: che sia la Chiesa a voler decidere, o almeno vincolare i politici cattolici. Nel Parlamento italiano 60 di loro hanno rivendicato la loro autonomia. «Al di là delle intenzioni, che non si possono mai giudicare, lasciar intendere che i vescovi mettano in dubbio la laicità delle istituzioni è privo di fondamento. Il cattolico liberamente si riconosce come appartenente a Cristo e per sua scelta accetta che esista un significato della vita che viene dalla parola di Dio autenticamente interpretata dal magistero. Maritain diceva che sulle questioni di principio o intermedie tra principi ed aspetti opinabili e pratici, il magistero ha il dovere di proporre un’interpretazione autentica: è la missione che ha ricevuto da Cristo stesso. Com’è ovvio, tale interpretazione nella vita cristiana è inesorabilmente proposta alla libertà e alla coscienza, non è imposta a nessuno; ma è dovere di chi si professa cattolico paragonarsi lealmente e con spirito grato con ciò che è necessario credere, secondo il bel motto di origine agostiniana "in necessariis unitas"». Da qui la polemica sull’ingerenza. «Questo non implica affatto un’invasione di campo da parte della gerarchia. Il magistero dice che cosa fa parte di quel necessario e lo dice alla coscienza del credente, alla sua libertà. Il credente ne trarrà le conseguenze. Esiste certamente spazio per l’opinabile, ma per un cattolico non tutto si può ridurre all’opinabile. I vescovi italiani, proponendo la famosa Nota, non hanno fatto altro che il loro dovere. Per altro non mi risulta che vadano in Parlamento a votare». Il principale costituzionalista cattolico, Leopoldo Elia, ha contrapposto alla nota della Cei la Costituzione: «Il parlamentare rappresenta la nazione senza vincolo di mandato». «Certamente non tocca alla Chiesa determinare la forma concreta e specifica dell’espressione tecnico-giuridica della legge; però se una legge mette in campo una questione di principio, allora potrò verificare se questa legge rispetta o no questo principio. Quando affermo un principio, di fatto giudico la sostanza della legge; altrimenti sarebbe come dire che la verità non ha peso sulla realtà. Qui è in gioco cos’è libertà, cos’è autonomia, cos’è autorità. C’è una forte analogia con quanto dicevamo prima, circa il fatto che riconoscere la necessità dell’anima non frena ma arricchisce le scienze. Giustamente, se fossi uno scienziato io mi ribellerei di fronte a un’ingerenza, che fissi dall’esterno i limiti della scienza. Ma tocca a me, in quanto uomo che pratica la scienza, riconoscere questi limiti oggettivi e per questo sarò tanto più grato alla comunità e all’autorità che reggono e sorreggono la mia comprensione dell’uomo. Lo stesso discorso vale, analogamente, per la politica. C’è un punto cruciale e non più dilazionabile su cui la nostra società si deve ripensare: la libertà non è solo "libertà da", ma anche "libertà per"; e per esserlo deve riconoscere la convenienza di una qualche dipendenza. Come avviene in una famiglia tra marito, moglie e figli». Ma mettere limiti non è proprio quanto la Chiesa ratzingeriana va facendo? Sul testamento biologico Umberto Veronesi vi rimprovera questo? «Non mi sembra che le sue ragioni sul testamento biologico siano convincenti. Mi pare anzi che da varie parti se ne sia mostrata la debolezza. Nessuno discute la competenza scientifica di Veronesi, ma come il teologo non deve improvvisarsi scienziato, così lo scienziato non deve fare il filosofo e il teologo. La morte non è un evento puramente biologico, ma il momento del più grande abbandono a Dio». Ma secondo lei un cattolico oggi può ancora votare a sinistra? O la Chiesa gli chiede implicitamente una scelta diversa? «Un cattolico quando vota non può non cercare una coerenza con la visione dell’uomo che concretamente pratica, a partire dalla sua fede, e giocare quindi questa sua concezione di vita buona nel dibattito pubblico. Da questo punto di vista, il fatto che la Chiesa non si schieri è oggettivo. La palla viene da noi rilanciata nell’altro campo: dipende da quale idea di uomo e di società un partito porta avanti. Allora la Chiesa potrà porre la domanda: questa visione dell’uomo - cioè questa concezione della vita, della famiglia, dell’amore, della sessualità, della nascita, della cura, della morte, del lavoro - è o non è per il bene dell’uomo? A me pare che questo non significhi imporre qualcosa, ma favorire la libertà di una scelta adulta. Neppure il politico ateo e anticlericale può vivere senza un riferimento. Sentirà, inevitabilmente, il peso delle appartenenze, dei legami con l’opinione corrente, con il suo segretario di partito, con il suo elettorato. È ingenuo pensare che la libertà sia spezzare i legami, anziché vivere con autenticità i legami veri. Non esiste l’uomo-atomo, allo stato puro, capace di produrre dal nulla una decisione libera».
«Corriere della sera» del 15 luglio 2007

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