18 luglio 2007

Antonio Trotta, in coma vigile da due anni, se torna in Svizzera morirà

Un caso Terri Schiavo in Italia
di Giuliano Ferrara
La vicenda di cui è suo malgrado protagonista il varesino Antonio Trotta (trentanove anni, in coma vigile da due, dopo essere stato investito sul territorio elvetico nel 2005) ricorda, per più di un aspetto, quella di Terri Schiavo. Anche in questo caso c’è una famiglia d’origine, genitori e sorelle che vogliono continuare a curarlo e ad accudirlo in Italia, dove i medici che lo assistono lo giudicano “indubbiamente sveglio ed estremamente recettivo nei confronti di stimoli affettivi”. E c’è una moglie svizzera che, d’accordo con un tutore da lei nominato dopo l’incidente, chiede invece di riportarlo a Lugano, dove la tracheotomia praticata a Trotta in Italia e le altre cure che sono riuscite a migliorare il suo stato sono ritenute accanimento terapeutico. Il malato – ha infatti sentenziato la commissione di Etica clinica dell’Ente ospedaliero cantonale – non avrebbe nessuna “possibilità reale di guarigione” o di “raggiungimento di una qualità di vita accettabile”.
Del destino di Trotta si dovrà occupare ora il Tribunale di Varese, al quale la famiglia ha chiesto un intervento d’urgenza per impedire che egli sia riportato in Svizzera. Consentirlo, equivarrebbe a metterlo nelle mani di chi lo vede già come un morto del quale affrettare la sepoltura. Nulla conta la vita emotiva di cui pure Trotta dà prova nel contatto amorevole con i familiari, perché altri hanno stabilito i parametri minimi di “qualità” ai quali la sua esistenza non risponderebbe più. Lo salvi chi può.
«Il Foglio» del 17 luglio 2007

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