09 giugno 2007

Un poeta di nome Karol

Il Papa nella letteratura polacca
di Elisabetta Rasy
Quando aveva ventidue anni Karol Wojtyla scrisse al professor Kotlarczyk di non contare più su di lui per la poesia e il teatro: stava per incominciare il cammino per l’ordinazione sacerdotale e quelle passioni che aveva condiviso con l’amico e maestro, fondatore del Teatro Rapsodico, sarebbero state messe da parte. Ma non fu così. Era il 1942 e fino al 1978, anno della sua elezione al pontificato, il futuro Giovanni Paolo II continuò a scrivere e anche a pubblicare utilizzando pseudonimi e, dopo venticinque anni di pontificato, consegnò alle stampe un nuovo poema, Trittico Romano (edito da Bompiani). L’attività poetica - come quella teatrale di autore e, da giovane, di attore - fa parte dell’aura leggendaria di questo Papa, tassello di una personalità potente e sfaccettata nei confronti della quale, a due anni dalla morte, nostalgia e interesse non accennano a diminuire. Ora però un breve saggio di padre Antonio Spadaro, Nella melodia della terra (Jaca Book editore, pagine 80, 10), cambia leggermente ma incisivamente la prospettiva. Il giovane gesuita, autore di molti studi sulla letteratura contemporanea, dopo aver ricordato che Josif Brodskij nel 1988 definì la poesia polacca la più straordinaria del Novecento, colloca Wojtyla nella generazione degli anni Venti - la stessa di Milosz, Herbert e Szymborska - per la quale l’esercizio poetico fu insieme resistenza attraverso la parola ai disastri della storia e indagine sull’uomo. La poesia del giovane Wojtyla fiorì infatti nelle minacce dell’anno 1939 («il secolo richiede spirito di contraddizione e volontà»), poco prima di quel settembre in cui Hitler invase la Polonia («il vento d’autunno tagliò i miei desideri... e mi ordinò di litigare col mio canto»). Il futuro Papa fu un combattente del fronte biblico fin dall’infanzia, ma Spadaro, seguendone il percorso passo dopo passo, mette in risalto che la poesia non rappresentò per lui un complemento secondario della riflessione teologica. Sono tecnicamente complessi, sapientemente elaborati anche i versi iniziali, con un sicuro talento novecentesco e dei contenuti lucidamente individuati: un appassionato amore per la patria polacca maltrattata, il conforto della natura, la violenza della Storia, la durezza del lavoro fisico, le «sempiterne inquietudini» dell’uomo. Come se il poeta avesse aiutato il sacerdote prima e il pontefice dopo a camminare tra la folla che tante volte torna nei suoi versi, e a non perdere quel «gusto dell’avventura» che anche l’intelletto più acuto, come scrive in un poema del 1958, deve lasciare alla vita.
«Corriere della Sera » del 23 aprile 2007

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