15 maggio 2007

Stato salutista non avrai il mio scalpo

Per opporsi ai diktat del nuovo pensiero igienico globale
di Michele Ainis
Lo Stato terapeutico ha inaugurato l'ultima crociata: quella contro Bacco e i suoi seguaci. Anche se le truppe governative, in realtà, sono schierate già da tempo. Nel giugno 2002 un decreto legge aveva abbassato il tasso alcolico consentito per chi si mette al volante, portandolo da 0,8 a 0,5 grammi per litro: in pratica significa un bicchiere di vino, o due di birra. Ma le sanzioni contemplano l'arresto fino a un mese, una multa stratosferica, la sospensione della patente per 3 mesi. Da qui la tragedia di Treviso, dove il 12 agosto 2002 un operaio si è ucciso quando i vigili gli hanno ritirato la patente, costringendolo alla disoccupazione: era infatti risultato positivo all'etilometro, e da appiedato non avrebbe più potuto raggiungere la sua fabbrica Benetton a 30 chilometri da casa.
Tuttavia non basta, non basta mai. Nel 2003 il governo ha stabilito la chiusura dei locali dopo le tre di mattina, e niente alcolici dopo le due. Nell'autunno del 2006 la bozza della legge finanziaria aveva previsto il divieto di vendere bevande alcoliche ai minori, compresa la birra in pizzeria; divieto poi stralciato per manifesta estraneità alla manovra di bilancio. Nelle stesse settimane il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge che castiga in ogni ora del giorno e della notte la mescita e la vendita di alcolici negli autogrill (fin qui il divieto valeva nelle sole ore notturne). Il mese scorso è stato annunziato un altro gire di vite al codice stradale, punendo ancora più severamente la guida in stato d'ebrezza: 6 mesi di arresto e una multa fino a 24 mila euro, il costo di un'automobile di lusso.
Infine il 12 aprile il ministro Ferrero ha promesso limiti alla pubblicità delle bevande alcoliche: proibito dire che il vino fa bene alla salute, vietata - come in Francia - la réclame degli alcolici in tv, ma viceversa obbligatoria l'etichetta che ci rimprovera e ammonisce contro i danni alla salute. È il sistema già sperimentato con le sigarette, ormai vendute in pacchetti listati a lutto, da cui s'affacciano scritte con ogni malaugurio per chi s'ostina ad acquistarle.
Che possiamo farci, sono i dettami del nuovo pensiero igienico globale. E infatti Ferrero è in buona compagnia: per dirne una, in marzo le autorità della Florida hanno deciso d'impedire ai giovani l'accesso notturno alle spiagge, dove è consuetudine bere un bicchiere in compagnia per festeggiare le vacanze di primavera dei college americani. E anche in Italia il salutismo è caro alla sinistra non meno che alla destra, oggi contro l'alcol, ieri contro il fumo o i cibi troppo grassi. Così, Fini e Giovanardi ci hanno regalato una legge iperproibizionista sulle droghe; l'ex ministro Sirchia ha messo alla berlina i fumatori, e per sovrapprezzo avrebbe voluto imporci il panciometro di Stato (limite massimo: 102 centimetri per lui, 88 per lei); il ministro Amato ha proposto l'antidoping all'uscita delle scuole. Dev'essere un riflesso biblico, l'idea che le porte del Paradiso s'aprano attraverso privazione ed espiazione. Sicché, per non andare fuori tema, non resta che contrapporre ai dieci comandamenti sui peccati di gola un decalogo di obiezioni recitate in punta di matita.
Primo: fino a prova contraria la Costituzione tutela il diritto alla salute, non già il dovere di sfoderare un alito che profuma di rose. Perché s'affida al senso di responsabilità degli individui, piuttosto che alla gomma del censore. E perché ne rispetta le inclinazioni, i gusti personali, gli stili di vita.
Secondo: se viceversa i nostri governanti vogliono propinarci uno Stato etico, se diventano alfieri dell'estremismo salutista, daranno giocoforza fiato all'estremismo opposto, quello di chi vuole sbarazzarsi dello Stato. Sarà un caso, ma il motto di David Friedman («non chiedere che cosa può fare lo Stato per te, chiedi cosa ti sta facendo»), nonché le teorie dei libertarians (che prendono a modello le comunità medievali, società senza Stato), non hanno mai guadagnato tanti estimatori.
Terzo: nella misura annunciata da Ferrero c'è un tradimento del patto elettorale. Perché il programma di Romano Prodi aveva un profilo antiproibizionista, promettendo per esempio di modificare la legge sugli stupefacenti. Ma dopo un anno non ne è caduta neppure una virgola, e ai divieti s'aggiungono i divieti.
Quarto: se la legge Fini-Giovanardi non distingue fra l'eroina e gli spinelli, Ferrero alza la mira contro ogni bevanda con un contenuto alcolico superiore a 1,2 gradi, senza distinguere fra la barbera e il whisky. È una logica da bombe termonucleari, che non si cura di quanti innocenti ci rimettono le penne.
Quinto: si dà il caso tuttavia che il «bere mediterraneo» sia un tratto della nostra identità culturale: da qui le immediate proteste della Coldiretti, dell'Aduc, di Città del Vino. E si dà il caso inoltre che l'uso moderato di bevande alcoliche riduca la patologia cardiovascolare: lo ha ricordato l'associazione europea che riunisce gli esperti del settore.
Sesto: se il divieto di pubblicità è già vigente in Francia - come ha osservato il nostro esterofilo ministro - esso è viceversa estraneo agli altri paesi dell'Unione. Dopo di che le morti del sabato sera restano, ovviamente, una tragedia da arginare, così come i 25 mila uccisi ogni anno dall'alcolismo; ma le statistiche vanno lette per esteso, e in Italia il quadro è meno fosco che nel resto d'Europa, mentre gli incidenti mortali sulle strade sono in calo dal 2001.
Settimo: si vieta la pubblicità ma non la vendita. Come per i tabacchi. È un atteggiamento ipocrita, che nel migliore dei casi trasmette messaggi ambigui. Non sarà che la torta del gettito fiscale è troppo ricca per lasciarla in frigorifero?
Ottavo: di sanzioni ce n'è già abbastanza. Ma come spesso accade, nessuno si cura d'applicarle. Una ricerca attesta che fra il 2002 e il 2004 solo il 3% degli automobilisti italiani ha subito il test dell'alcol (la media europea è del 16%).
Nono: siamo certi che l'oscuramento della pubblicità funzioni? Negli Usa la Federal Trade Commission, il ministero della Salute, l'Università del Texas e varie altre istituzioni hanno detto che non c'è nessuna prova che questa misura abbia effetti sul consumo, figurarsi sull'abuso. In più sui giovani suona come un invito a trasgredire.
Decimo: siamo altrettanto certi che il proibizionismo paghi? In Svezia un vinello da tavola costa 20 euro, ma l'alcolismo cresce a vista d'occhio. In Inghilterra c'è una campagna forsennata contro il fumo, ma senza risultati. Negli Stati Uniti, a dispetto dei 200 milioni annui per inserire la verginità nei curricula scolastici, chi frequenta i corsi di castità fa sesso per la prima volta a 14 anni. Ma gli Usa, durante gli anni Venti, hanno già fatto fiasco con il proibizionismo sui liquori. Adesso tocca a noi: ritornerà Al Capone?
«La Stampa» del 1 maggio 2007

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