24 aprile 2007

Niente Limbo per i bambini non battezzati

Visto e approvato dal Papa il documento (anticipato da una rivista americana) della Commissione teologica internazionale che rilegge un tema da tempo dibattuto
di Mimmo Muolo
Ci sono ragioni per sperare che il limbo non esista. E che dunque i bambini morti senza Battesimo possano godere anche loro del paradiso. Ciò non significa però che si debba negare la necessità del Battesimo o si debba ritardare la sua amministrazione. Più semplicemente viene riaffermata l'immensità della misericordia di Dio. Quella che fino a pochi mesi fa era solo una teoria di singoli teologi riceve ora una importante conferma dalla Commissione teologica internazionale, l'organismo istituito nel 1969 da Paolo VI, presso la Congregazione per la dottrina della fede, con lo scopo di aiutare la Santa Sede nelle questioni dottrinali di maggior importanza.
Quella del Limbo trova ora una sua formulazione nel documento, visto e approvato anche dal Papa, intitolato «La speranza della salvezza per i bambini che muoiono senza Battesimo». Il testo (40 pagine più una premessa riassuntiva) non è stato diffuso come di consueto dalla Sala stampa vaticana, ma è stato pubblicato dalla rivista americana Origin e a maggio apparirà in italiano anche sulla Civiltà Cattolica. L'insolita forma di pubblicazione è dovuta al fatto, come spiega il segretario generale della Commissione, padre Luis Ladaria, «che il testo originale è stato redatto in inglese e successivamente tradotto in italiano». Del documento, però, si conoscono già le affermazioni fondamentali. «Il tema della sorte dei bambini che muoiono senza aver ricevuto il Battesimo - si legge infatti nel testo - è stato affrontato tenendo conto del principio della gerarchia delle verità, nel contesto del disegno salvifico universale di Dio, dell'unicità e della insuperabilità della mediazione salvifica di Cristo, della sacramentalità della Chiesa in ordine alla salvezza e della realtà del peccato originale».
È noto, continua la Premessa, che «l'insegnamento tradizionale ricorreva alla teoria del limbo, inteso come stato in cui le anime dei bambini che muoiono senza Battesimo non meritano il premio d ella visione beatifica a causa del peccato originale, ma non subiscono nessuna punizione perché non hanno commesso peccati personali. Questa teoria, elaborata da teologi a partire dal medioevo non è mai entrata nelle definizioni dogmatiche del Magistero, anche se lo stesso Magistero l'ha menzionata nel suo insegnamento fino al Concilio Vaticano II. Essa rimane quindi un'ipotesi teologica possibile. Tuttavia nel Catechismo della Chiesa cattolica la teoria del limbo non viene menzionata ed è invece insegnato che quanto ai bambini morti senza Battesimo la Chiesa non può che affidarli alla misericordia di Dio». «Il principio che Dio vuole la salvezza di tutti gli esseri umani - prosegue il testo - consente di sperare che vi sia una via di salvezza per i bambini morti senza battesimo. Tale affermazione invita la riflessione teologica a trovare una connessione logica e coerente tra i diversi enunziati della fede cattolica: la volontà salvifica universale di Dio, l'unicità della mediazione di Cristo, la necessità del battesimo per la salvezza, l'azione universale della grazia in rapporto ai sacramenti, il legame tra peccato originale e privazione della visione beatifica, la creazione dell'essere umano in Cristo».
Alla luce di queste considerazioni la conclusione dello studio è che «vi sono ragioni teologiche e liturgiche per motivare la speranza che i bambini morti senza Battesimo possano essere salvati e introdotti nella beatitudine eterna, sebbene su questo problema non ci sia un insegnamento esplicito della rivelazione. Nessuna delle considerazioni che il testo propone per motivare un nuovo approccio alla questione può essere addotta per negare la necessità del Battesimo e per ritardare la sua amministrazione. Piuttosto vi sono ragioni per sperare che Dio salverà questi bambini, poiché non si è potuto fare ciò che si sarebbe desiderato fare per loro, cioè battezzarli nella fede della Chiesa e inserirli visibilmente nel corpo di Cristo».
«Avvenire» del 21 aprile 2007

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