10 aprile 2007

Breccia di Porta Pia, complotti e fantasie

Su «Mondo Contemporaneo» un saggio sulla pubblicistica a Roma dopo il 20 settembre
di Dino Messina
Una leggenda nera dell’antisemitismo cattolico nell’800
«I rivoluzionari sono gente senza testa, senza patria, senza affezioni domestiche: gli Ebrei non hanno patria, ed ancorché abitino tra i popoli, non trovano riposo, non hanno fermezza; e sopra l’onore dei congiunti sentono quello dell’oro. I rivoluzionari vorrebbero schiacciare l’Infame, cioè il Nazareno, e gli ebrei lo crocefissero. I rivoluzionari giurano di uccidere il proprio Padre, il proprio benefattore, quando sia lor comandato dalla Satanica setta, e gli ebrei congiurano contro il Papa, lo bestemmiano, calunniano, fin sulla porta del Vaticano». L’equivalenza tra liberali ed ebrei non era un fatto raro nella pubblicistica dell’Ottocento, ma un’analisi della stampa periodica a Roma all’indomani del 20 settembre 1870 ci mostra il nesso, stabilito ossessivamente dai giornali clericali, tra questione romana e questione giudaica. Per il partito clericale, come ci fa vedere anche il brano citato da La Frusta dell’11 gennaio 1871, la Breccia di Porta Pia fu il frutto di una congiura giudaica. A questa conclusione si arriva dopo l’attenta lettura del saggio di Annalisa Di Fant, ricercatrice dell’Università di Trieste, «La polemica antiebraica nella stampa cattolica romana dopo la Breccia di Porta Pia», in uscita sul prossimo numero della rivista di storia Mondo contemporaneo (diretta da Giuseppe Conti, Luigi Goglia, Renato Moro, Mario Toscano ed edita da Franco Angeli). In seguito agli avvenimenti del 1870 si assistette nella nuova capitale a una vera esplosione di testate, passate dalle 60 del decennio precedente Porta Pia alle 317 del quinquennio successivo. Per quanto riguarda il giornalismo schierato in maniera intransigente a difesa di Pio IX, il Pontefice autorecluso nei sacri palazzi, l’autrice parla di una piramide al cui vertice stavano L’Osservatore Romano e La Civiltà Cattolica, al centro giornali politici legati al mondo dell’associazionismo quali Il Buon Senso e La Stella, e alla base dei fogli popolari come La Frusta, o l’umoristico Il Cassandrino, che alla voce «ebreo» di un Dizionario uscito nel 1874 scriveva: «Nei tempi barbari questa parola suonava Robivecchi, Mordivoi, oggi vale fratello e patriota. I crocifissori si danno la mano». E nel gennaio 1873 pubblicava una filastrocca in cui i «buzzurri», cioè i forestieri arrivati con lo Stato liberale, venivano equiparati ai «Giudei». Se i fogli popolari alimentavano sentimenti localistici che si accompagnavano al razzismo contro «il Zozzajone der Ghetto», la stampa delle classi dirigenti era più elegante, ma esprimeva un antisemitismo parimenti violento. I toni erano pesanti anche quando il linguaggio era metaforico. È il caso di un articolo della Civiltà Cattolica del 1° marzo 1872, che sin dal titolo istituiva un paragone tra «Il Golgota e il Vaticano»: anzi, per «qualità morali» i crocifissori di Pio IX sono «i medesimi quanto a turpitudine e perversità dell’anima che i crocifissori di Gesù». I liberali, per La Civiltà Cattolica altro non sono che «novelli giudei», esecutori dei decreti della «frammassoneria mondiale». Ma già dalla fine del 1872 sulla rivista dei gesuiti cominciano a comparire riferimenti diretti alla comunità ebraica romana, peraltro attaccata dallo stesso Pio IX in un discorso pronunciato alla vigilia di Natale: «Non conoscono Dio questi Ebrei che scrivono bestemmie». Il Papa si riferisce ai giornalisti liberali di origine ebraica, come Edoardo Arbib, fondatore del giornale La Libertà, o Giacomo Dina, direttore di un altro giornale inviso ai cattolici, L’Opinione. In particolare Arbib sulla stampa cattolica si attirava le peggiori ingiurie personali: «Il perfido giudeo della Libertà», «il pronipote di Abramo», «il servitore del Ghetto». Un luogo comune della polemica antiebraica era il comportamento ingrato del «popolo deicida»: trattati con «magnanimità» da Gregorio Magno, Alessandro II, Innocenzo III, Gregorio IX, Clemente V, Clemente VI, e soprattutto da Pio IX, dopo la Breccia furono tra i primi a esultare: «Tra i primi che, pettoruti, insultanti, ed alteri mossero incontro a chi coll’accento di libertà sulle labbra apprestava la prigionia del Pontefice». Rilevante, infine, nell’ondata di antisemitismo conseguente alla Breccia di Porta Pia e alla contestuale apertura dell’ultimo ghetto ebraico in Italia, la questione scolastica. Per la stampa ultracattolica era inconcepibile che le scuole pubbliche fossero frequentate anche da studenti e soprattutto da professori ebrei. Un pregiudizio che portava il pur cauto Osservatore Romano a commentare così le statistiche sulla popolazione scolastica dell’ex Collegio Romano: «Gli iscritti sommano a circa 500. Peraltro va notato che più di 250 sono pronipoti di Abramo, Isacco e Giacobbe; onde in caso di un plebiscito in quella scuola la legge ebraica la vincerà su quella cristiana. Questo pure sarebbe progresso».
«Corriere della sera» del 6 aprile 2007

Nessun commento: