10 marzo 2007

Chi va piano

di Massimo Gramellini
Ogni volta che il numero degli incidenti mortali oltrepassa la quota di tolleranza che ancora distingue una notizia dalla pur orrida routine, il governo annuncia di voler abbassare i limiti di velocità. E ogni volta uno si domanda per quale motivo chi non li ha mai presi in considerazione fino a quel momento dovrebbe cominciare a farlo proprio nell'istante in cui diventano più difficili da rispettare.
La Spoon River delle tragedie racconta la storia sempre uguale di un ubriaco o di uno spaccone che sfreccia sull'asfalto come un pistolero braccato nella prateria, totalmente insensibile alla segnaletica, figuriamoci al contachilometri. In strada, ma anche altrove, l'inasprimento delle regole dispiega i suoi effetti su un'unica categoria di persone: quelli che le osservavano già. E' dai tempi del Manzoni che le autorità pensano di risolvere i problemi stringendo i bulloni della convivenza, invece di vigilare affinché nessuno li sviti. In fondo scrivere una legge è abbastanza semplice. Il difficile sta nel sottrarla al destino inesorabile di carta straccia, costruendole intorno un sistema serio di controlli. Uno Stato che reagisce alle intemperanze dei suoi associati a colpi di divieti assomiglia a quei padri di una volta, che per punire il figlio nottambulo costringevano l'intera famiglia ad andare a letto dopo cena. Poi si chiudevano in salotto a dormire davanti alla tv e il reprobo sgattaiolava fuori, non prima di aver loro sfilato le chiavi dalla tasca del cappotto.
«La Stampa» del 6 marzo 2007

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