16 febbraio 2007

Roma non digiunava, Atene sì. In attesa di Gesù

Classici e cristiani
di Manlio Simonetti

Il digiuno, affinché la carne non prenda il sopravvento, può costituire un atto di religione e di culto e si trova in molte religioni. Mentre nell’antica Roma non era originariamente praticato e si diffuse piuttosto tardi per influsso di religioni orientali, in Grecia accenni al digiuno si trovano già nell’inno omerico a Demetra e in seguito le testimonianze s’infittiscono. Il motivo originario e più forte che sostiene questa pratica è la paura che i demoni acquistino potere sull’uomo mentre questi mangia. Inoltre, il digiuno è considerato mezzo efficace per prepararsi all’incontro con la divinità e ricevere forze estatiche o magiche (Behm). Si digiuna per scacciare demoni maligni (Plutarco, De defectu oraculorum, 14), e questa era probabilmente anche la finalità del digiuno funebre. Presso greci e romani i sacerdoti non digiunavano prima di sacrificare, ma l’usanza è attestata, secondo Erodoto (2, 40), nell’antico Egitto.
Ad Atene, in occasione delle Tesmoforie, festa in onore di Demetra, era prescritto che le donne digiunassero per un giorno sedute a terra. Il digiuno era praticato soprattutto nei culti misterici. In quelli eleusini il neofita digiunava prima di ricevere la bevanda sacramentale; nei misteri frigi di Cibele e Attis si celebrava un digiuno completo nei tre giorni di lutto per la morte di Attis. Greci e romani sapevano bene che l’astinenza, a volte accompagnata da apposite bevande, rendeva idonei alle rivelazioni estatiche. Il profeta dell’oracolo di Apollo a Claro digiunava un giorno e una notte prima di ricevere la rivelazione del dio; la sacerdotessa dell’oracolo di Didima non toccava cibo per tre giorni; anche i testi magici richiedono a volte un lungo digiuno, per rafforzare il potere magico.
La pratica del digiuno era diffusa presso gli antichi ebrei. Si praticava il digiuno funebre per manifestare il dolore per la morte del defunto; si digiunava come preparazione per ricevere la rivelazione divina: Mosè digiuna quaranta giorni e quaranta notti prima di ricevere da Jahvè i dieci comandamenti sul Sinai (Esodo, 34, 28). Ma il motivo più frequente, nell’Antico Testamento, è quello che intende il digiuno come espressione dell’umiliarsi dell’uomo di fronte a Dio, per calmarne l’ira e renderselo favorevole. In tempo di crisi tutto il popolo digiuna affinché Dio allontani la calamità (Giudici, 20, 26; 1 Samuele, 7, 6 ecc.), e in Giona, 3, 5-8 si fanno digiunare anche le bestie. Il digiuno era strettamente connesso con la preghiera, soprattutto se questa era penitenziale. Di norma esso durava dalla mattina alla sera, e quello totale veniva praticato di rado. Diventò gradualmente pratica molto importante, vero e proprio segno distintivo dei giudei, come rilevano Tacito e Svetonio.
In ambito cristiano l’esempio fondamentale è quello di Gesù, che digiuna nel deserto quaranta giorni e quaranta notti (Matteo, 4, 2), e il digiuno è raccomandato come pratica religiosa insieme con la preghiera e l’elemosina (Matteo 6, 16-18). Qui è una pratica privata, ma ben presto anche il digiuno diventò rito comunitario, come la preghiera: nella Didachè (8, 1), verso la fine del I secolo, si prescrive di digiunare mercoledì e venerdì, e non lunedì e sabato come gli ipocriti, cioè i giudei. Inoltre si digiuna in occasioni e ricorrenze significative: prima del battesimo, durante la quaresima, nella settimana santa; col passare del tempo il digiuno venne sempre meglio organizzato e codificato, con varianti significative: per esempio, in Occidente era uso digiunare il sabato, ma non in Oriente se non il sabato prima di Pasqua.
Il tema del digiuno fu approfondito a livello teoretico e trasferito in senso spirituale: il cristiano digiuna soprattutto astenendosi dal male (Erma, Similitudini, 5, 1, 5); il digiuno, esercitato con libertà, mortifica la carne sì da mettere il fedele in comunione con Cristo (Origene, Omelie sul Levitico, 10, 1-2). Come ogni pratica ascetica, anche il digiuno fu praticato con particolare impegno dai monaci, ma anche con richiami a evitare eccessi: la Regola di san Benedetto raccomanda di amare il digiuno, ma nelle disposizioni appare moderata (4, 13; 49, 4-7). Progressivamente la pratica del digiuno estesa a tutti i fedeli è stata ristretta a occasioni specifiche, con particolare rilievo al digiuno prima di partecipare all’eucaristia; ma di recente questa pratica è stata sempre più ridotta, e ora, limitata ai giorni delle Ceneri e del Venerdì santo, appare, a livello comunitario, quasi scomparsa.
«Avvenire» del 15 febbraio 2007

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