21 febbraio 2007

Ma quant'è antica la famiglia

di Andrea Galli e Marina Corradi
Francesco Paolo Casavola: «Un modello non creato, ma benedetto dal cristianesimo»
«Fu un tipo di rapporto nato in una società pagana, che nei ceti alti aveva accettato un’etica laica come quella stoica»
Storico del diritto romano, già presidente della Corte costituzionale e oggi presidente del Comitato nazionale di bioetica, Francesco Paolo Casavola non ci sta a ridurre la famiglia tradizionale ad un "prodotto" del cristianesimo. «Quando il cristianesimo interviene all'interno della civiltà romana non modifica nulla: si limita a benedire le nozze, e la benedizione è un elemento del tutto estrinseco, vale per chi ha accettato la nuova religione e chiede la protezione del nuovo Dio rivelato sul proprio rapporto. Ma è un rapporto costruito in una società politeista, pagana, che nei ceti alti aveva accettato un'etica del tutto laica come quella stoica».
Oggi però si tende ad identificare le due cose, famiglia fondata sul matrimonio e tradizione cattolica...
«Il che non è storicamente vero. Quello che si può dire è che lentamente la Chiesa interviene a trasformare questo uso sociale benedetto in un rapporto che tende a giuridicizzarsi, quasi come un contratto; questo soprattutto ad opera del diritto canonico. Parallelamente anche il matrimonio che appartiene alla tradizione romanistica, e arriva fino ai codici civili dell'Europa moderna, diventa una forma sempre più contrattualizzata. Con esiti addirittura più "forti" dello stesso matrimonio religioso».
In che senso?
«Fino al Codice civile italiano del 1942 soltanto la morte dei coniugi faceva venir meno il rapporto. Quindi, da questo punto di vista il matrimonio civile era del tutto indisponibile alle parti, mentre di fronte ad un tribunale ecclesiastico, essendo il pieno consenso fondamentale per la legittimità del matrimonio sacramento, si poteva fare appello a un consenso in qualche modo viziato».
Insomma si può dire che la famiglia tradizionale ha una genesi e anche uno sviluppo in un certo modo indipendente dalla Chiesa?
«Il matrimonio romano è sempre stato monogamico, tra uomo e donna, non è mai stata ammessa la poligamia. Queste cose non sono invenzioni del cristianesimo. Semmai si può dire questo: che queste due entità, matrimonio e famiglia, sotto la spinta della civiltà cristiana vennero ad unificarsi ancora di più».
E la Costituzione cosa recepisce di questo lascito?
«Il matrimonio entra nei Codici civili a partire da quello di Napoleone del 1804, poi in tutti gli altri. La parte relativa alle persone e alla famiglia è quella che apre i Codici civili della modernità. Però non entra nelle Costituzioni fino al dopoguerra, fino alla Costituzione di Bonn del 1949, alla nostra del '48, eccetera. Perché? Perché la famiglia era quella cellula che aveva rivelato tutta la sua forza ai fini della coesione sociale dopo la devastazione della guerra. La famiglia viene riconosciuta come il punto da cui ripartire per ricostituire la salute della società e degli Stati dopo la guerra».
Un riconoscimento storico?
«Fra i costituenti ci fu concordia totale, da tutte le parti, nell'usare la formula: "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia". Con essa ci si riferiva ad una realtà che è pre-politica. Si riconosceva la famiglia come un soggetto storicizzato, e si intendeva dire che non può essere una costruzione del diritto pubblico, perché viene prima dello Stato. Per indicare in modo conciso questo concetto si usò l'espressione "società naturale"».
Quale il rischio nel riconoscere giuridicamente forme alternative alla famiglia tradizionale?
«Il rischio è quello che si sta delineando nelle polemiche di questi giorni: cioè che nasca un gruppo tessuto da relazioni di genitorialità, di filialità e di fraternità, però non fondato sul matrimonio. L'"unione" è un termine che riguarda la relazione tra due persone, però se dall'unione di due persone di sesso diverso nasce una pro le, allora quella non è più un'unione, ma è un gruppo. Questo gruppo non è fondato sul matrimonio, quindi nasce un organismo para-familiare, in qualche modo simmetrico, però diverso nel suo fondamento dal modello costituzionale. Da qui il problema di un'incompatibilità con la Costituzione che va risolta».

Marta Sordi: «Da Pericle a Tacito e Svetonio, una legge della natura»
«Anche la tutela della moglie e dei figli era affermata nell’antica Roma. Perché contestare queste radici greche e latine?»
Il concetto di "famiglia naturale" non è affatto una creazione del cristianesimo». E’ tranchant la professoressa Marta Sordi, una delle più note storiche dell’antica Roma, nel commentare l’affermazione di Emanuele Severino sul Corriere di ieri.
«La "famiglia naturale " - spiega la Sordi - è un concetto già affermato con chiarezza nella cultura classica, greca e romana. Basti pensare a come lo storico Musonio Rufo, vissuto nell’età neroniana, difenda la famiglia legittima, che afferma essere protetta da Giove e stabilita come custode delle generazioni. E non era, questo principio, un’idea eccentrica, ma il pensiero normale di un intellettuale normale nell’età imperiale. In quegli stessi anni, come è noto, l’imperatore Nerone convolò per due volte a nozze omosessuali. Ora, sappiamo che nell’antichità l’omosessualità era tollerata e considerata al massimo qualcosa di veniale; tuttavia, se erano accettati i rapporti omosessuali, netta era la distinzione fra questa pratica e le nozze giuridicamente riconosciute. Questa prospettiva si ritrova in Tacito e Svetonio, mentre Cassio Dione riporta la battuta di un filosofo invitato a quelle nozze - pantomima di un imperatore con un uomo prima, e un fanciullo poi. Interrogato dall’imperatore se approvasse una simile unione, il convitato rispose: "Fai bene, Cesare, a convivere con mogli come queste; volesse il cielo che anche tuo padre avesse convissuto con questo tipo di moglie". Dove il sarcasmo dice molto sulla considerazione di quel "matrimonio gay" ante litteram».
Anche la tutela della moglie e dei figli appartiene al diritto dell’antica Roma?
«Sì, e anzi ritroviamo questi concetti stabiliti in maniera più netta nell’età arcaica. Il divorzio non compare che tardivamente nel diritto romano: come dire che la civiltà romana alle sue origini era più rigida nella tutela della famiglia naturale. Ma anche nell’età imperiale, e torniamo a Musonio Rufo, quello storico polemizza con Teopompo circa le abitudini degli Etruschi, che accoglievano in seno alla famiglia anche i figli illegittimi. Rufo interviene sottolineando la importanza di una discendenza legittima per la società».
Ma a quale istanza Greci prima e Romani poi attribuivano l’origine di questa "famiglia naturale"?
«L’attribuivano agli dei. I Romani avevano del resto molto chiaro il concetto di una lex naturalis anteriore a ogni legge degli uomini. Erano convinti per esempio che gli stessi schiavi non fossero tali per diritto naturale, e che, all’origine, anch’essi fossero uomini liberi».
Come una coscienza originaria di un diritto anteriore e fondante per tutti i diritti positivi, dunque, arriva già sedimentato ai popoli che fondano la civiltà occidentale...
«Non vorrei che oltre alle "radici cristiane" ora si volessero contestare anche quelle greche e romane. Ciò che mi domando è come un filosofo come Emanuele Severino possa ignorare queste evidenze della storia antica. A dire il vero ho il dubbio che qui si stia giocando sul fatto che il mondo antico ormai lo conoscono in ben pochi; e dunque, si crede di poter affermare che "famiglia naturale" è concetto cristiano, senza timore di venire contraddetti».
Quello che è certo è che gli antichi affermavano l’esistenza di un diritto anteriore alle loro leggi.
«Basti pensare all’orazione di Pericle per l’epitaffio dei caduti nel primo anno della guerra del Peloponneso, riportata da Tucidide nelle Storie: "Senza danneggiarci esercitiamo reciprocamente i rapporti privati, e nella vita pubblica la reverenza soprattutto ci impedisce di violare le leggi: in obbedienza a coloro che sono nei posti di comando, e alle istituzioni, in particolare a quelle poste a tutela di chi subisce ingiustizia o che, pur essendo non scritte, portano a chi le infrange una vergogna da tutti riconosciuta". Una legge "non scritta" ma non violabile, secondo Pericle. Ad Atene, attorno al 430 avanti Cristo».
«Avvenire» del 17 febbraio 2007

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