24 gennaio 2007

Se la poligamia viene rivendicata come un diritto

di Magdi Allam
«Mi fa piacere avere quattro mogli, ma se il governo non mi permette allora cosa faccio? Devo andare in clandestinità e questo non è giusto». Così Mohamed Bahà el-Din Ghrewati, eminenza grigia dell’Ucoii, nel Tg1 di domenica sera si è spinto oltre l’apologia della poligamia, arrivando a chiederne la legalizzazione: «Magari se la legge italiana accetta la poligamia, così risolve tanti problemi di milioni di persone, non migliaia». Il servizio di Barbara Carfagna, nel telegiornale di massimo ascolto della Rai, ha il merito di aver chiarito a milioni di italiani la strategia degli estremisti islamici. Hanno iniziato con il celebrare i matrimoni islamici in seno alle moschee, attribuendogli una connotazione religiosa e trasformandolo in un sacramento, laddove negli stessi paesi musulmani è un semplice contratto privatistico che si contrae e festeggia laicamente nell’abitazione degli sposi. Hanno proseguito con l’invocare «la facoltà di celebrare e sciogliere matrimoni religiosi senza alcun effetto o rilevanza civile secondo la legge e la tradizione islamica» (articolo 12 della bozza d’intesa dell’Ucoii con lo Stato Italiano), cioè la possibilità di essere poligami di fatto senza esigere il riconoscimento giuridico. Ed ora hanno compiuto un ulteriore passo in avanti chiedendo pubblicamente la legalizzazione della poligamia. Si obietterà che Ghrewati, neuropsichiatra e omeopata, ufficialmente presidente onorario della Casa di cultura islamica di via Padova a Milano, non è nel direttivo dell’Ucoii e che quindi parlerebbe a titolo personale. In realtà sappiamo che i veri leader dei Fratelli Musulmani, a cui fa riferimento l’Ucoii, preferiscono operare sotto mentite spoglie. Come è stato il caso del banchiere Youssef Nada, cittadino italo-egiziano, residente a Campione d’Italia, fondatore della Banca Al Taqwa, che era il «ministro degli Esteri» del movimento internazionale dei Fratelli Musulmani fino al sequestro dei beni quando, all’indomani dell’11 settembre 2001, emerse la sua connivenza con il terrorismo islamico globalizzato. La particolarità dell’iniziativa di Ghrewati, così come lui stesso ha dichiarato a Paolo Colonnello nell’intervista pubblicata su La Stampa il 7 gennaio scorso, è il tentativo di far passare la poligamia come «una proposta culturale che andrebbe discussa». Dopo essersi qualificato come un «poligamista», Ghrewati ha esplicitato che «noi musulmani proponiamo la poligamia come rimedio al fallimento della società italiana». E indossando i panni del medico ha sentenziato che «la poligamia è un rimedio contro le tensioni sociali e i tumori della prostata e del seno». L’obiettivo di Ghrewati è quello di accreditare la poligamia come un diritto individuale che, al pari della coppia omosessuale, dovrebbe essere riconosciuto dalla legge come un Pacs: «Qui parlate apertamente di matrimoni tra gay e rifiutate anche solo l’idea della poligamia. Però tollerate amanti e doppie famiglie. Basta che tutto si viva in clandestinità». Ci rincuora il fatto che i musulmani d’Italia sono subito insorti contro le farneticazioni di Ghrewati e contro l’intento dell’Ucoii di legalizzare la poligamia. Nella consapevolezza che non si tratta affatto di una rivendicazione che attiene alla sfera individuale, bensì di una strategia di potere mirante a imporre in Italia la loro versione radicale, maschilista e violenta della sharia, la legge islamica. Ed è significativo che i primi a protestare siano state le donne, a cominciare da Souad Sbai, fino a coinvolgere la maggioranza dei membri della Consulta per l’islam italiano. Mi auguro che a questo punto se ne accorga anche la maggioranza del Parlamento e della magistratura italiana, fin troppo silente su una questione considerata erroneamente come inesistente o tutt’al più marginale. Immaginando che ci si possa mettere l’anima in pace fintantoché non viene violata la legge formale, anche se di fatto la poligamia si celebra nelle moschee e si pratica nelle case dei musulmani. Dobbiamo forse attendere il prossimo spettacolo televisivo di un corteo di donne velate e uomini barbuti che rivendicano il diritto alla poligamia, per deciderci a sanzionare seriamente questi militanti dediti all’islamizzazione dell’Italia?
«Corriere della sera» del 23 gennaio 2007

Nessun commento: