23 dicembre 2006

Scienza, esatta, ma non troppo

Ricerca e sperimentazione mirano a un sapere che ci consentirebbe di prevedere il futuro. Purtroppo siamo umani, cioè imperfetti, tanto che Hawking aveva annunciato la morte della fisica. Ma il dibattito non è affatto chiuso: se ne parla alla Pontificia Accademia delle Scienze

di Stanley L. Jaki
Storico della scienza e filosofo, docentealla Seton Hall University, South Orange (Usa)

Per la stessa ragione per cui non possiamo predire il nostro futuro, noi umani siamo incapaci di predire il futuro della nostra scienza. Si tratta di una scienza fatta da umani che non possono realizzare nulla di veramente esatto , neppure la loro scienza esatta. La sola cosa che si può predire sul futuro della fisica è che diventerà sempre più complessa dal punto di vista matematico. Se rimane valido il teorema dell'incompletezza, formulato dal logico americano Kurt Godel, si può predire tranquillamente che non può essere ottenuta una forma di fisica che sia necessariamente esatta. In altri termini, la fisica teorica rimane un'avventura aperta, indeterminata. A questa conclusione era arrivato due anni fa Stephen Hawking, dopo aver lamentato sei mesi prima la fine della fisica (proprio a causa di Godel). Poi si è lasciato andare a una profezia fuori posto, secondo la quale sarebbe stato «condannato dal Vaticano come Galileo». (La disputa riguardava il fatto che, secondo alcuni fisici, atomi di idrogeno erano sorti letteralmente dal nulla e che la cosa appariva a Hawking del tutto normale per la scienza). Quale ricercatore, che lavori in un ramo qualsiasi delle scienze esatte, può predire che cosa avverrà nei prossimi 50 anni? Nel 1950, "Scientific American" consultò otto prestigiosi uomini di scienza perché facessero un bilancio della prima metà del secolo. L'astronomo Harlow Shapley rispose che nessuna domanda posta dai suoi dottorandi (sulla teoria dei quanti o sull'universo in espansione) avrebbe avuto senso per i giganti dell'astronomia del 1900. Disorientati, anzi disperati, avrebbero guardato con sospetto chi faceva quelle domande. Ma, a loro volta, anche i giganti dell'astronomia del 1950 hanno dovuto sperimentare l'incapacità di prevedere. Nessuno di loro avrebbe potuto immaginare i buchi neri,la radiazione cosmica di fondo, i telescopi orbitali, le sonde spaziali, i semiconduttori, la nanotecnologia e tutto il resto. Lunga è la lista delle previsioni sbagl iate o mancate. Un centinaio di anni fa, Marcelin Berthelot, chimico francese che godeva di notevole autorità, affermò che, intorno all'anno 2000, tutti gli alimenti umani sarebbero stati prodotti in forma di pillola. Intorno all'anno 1900, il numero uno degli astronomi americani, Samuel Newcomb, dichiarò che mai e poi mai una macchina più pesante dell'aria avrebbe potuto volare. Tre anni dopo, Wilbur e Orville Wright inaugurarano l'aviazione. Nel 1950, un cervello del Mit, Vannevar Bush, era convinto che sarebbe stato impossibile costruire missili balistici intercontinentali. E nel 1959, in un altro centro di eccellenza, il Caltech, lo scienziato Robert Leighton annunciò che gli studi sulle particelle fondamentali erano conclusi. E stavano per partire le ricerche con i grandi acceleratori (a Batavia, nell'Illinois, e a Ginevra al Cern) costruiti proprio per scovare le nuove, sfuggenti particelle. E oggi nessuno sa per certo se, nel 2050, più di qualche storico si ricorderà della teoria delle stringhe e delle discussioni sugli universi multipli e paralleli. Ma anche Charles Darwin paga pegno: non era riuscito a prevedere future forme di specie. La lacuna è un fatto interessante perché il carattere scientifico della teoria darwiniana poggia sul fatto (non pienamente riconosciuto dallo stesso Darwin) che esiste una differenza, quantitativamente misurabile, tra genitori e prole, e che l'impatto dell'ambiente deve essere diverso sui genitori e sulla prole. La teoria darwiniana è scienza esatta ma solo in un senso limitato. Intendiamoci: la scienza esatta si può considerare "predittiva" quando poggia su misure numeriche. I Nobel della fisica e della chimica hanno bisogno di misure esatte, a sostegno delle loro previsioni o teorie, e usano misure accurate fino all'ottava cifra decimale. Poi ci sono le altre attività, chiamate impropriamente scienze, per esempio la scienza politica. E, quanto a previsioni, non reggono il confronto con le scienze esatte. Si pensi alla prev isione, veramente povera, fatta da Henry Kissinger nel 1988; due anni prima del collasso dell'Urss, affermò che l'impero sovietico sarebbe rimasto saldo per altri cento anni. Certo i progressi scientifici erano particolarmente imprevedibili prima che - nel XVIIo secolo, grazie a Keplero, Galileo e Newton - la scienza diventasse scienza esatta. Oggi il problema è che la scienza riesce a prevedere eventi lontani nello spazio e nel tempo ma non sa prevedere il suo proprio futuro. Il Nobel Polikarp Kusch parla di «potere e impotenza della fisica». Non c'è una futurologia scientifica. E le proiezioni a lungo termine sui cambiamenti climatici globali dipendono da troppi fattori, alcuni conosciuti, altri soltanto supposti, altri del tutto sconosciuti.
«Avvenire» del 5 novembre 2006

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