14 novembre 2006

La scuola di Draghi

La sortita del Governatore, gli impegni dei ministri
di Giuseppe De Rita

Misericordia, anche lui... Credo che questa sia stata la reazione di qualche smagato opinionista di fronte alla potenziale iscrizione anche di Mario Draghi alla lunga schiera di coloro che da anni ripetono la nobile solfa della decisiva centralità della formazione, dell’innovazione, della ricerca, del fattore umano, della società della conoscenza; senza mai uscire da un’intenzionalità così generica da avere come unico sbocco concreto la richiesta, non sempre corrisposta, di maggiori risorse finanziarie alla scuola, all’università, agli enti di ricerca. Eppure l’esortazione, ancorché inconcludente, resta la tendenza retorica di tanti politici, accademici, uomini delle istituzioni, esponenti delle rappresentanze imprenditoriali e sindacali, amministratori locali, presidenti di club e associazioni di vario tipo. Per fortuna, nella sua lectio all’università di Roma, Mario Draghi si è sottratto alla tentazione puramente esortativa; anzi la lettura in filigrana del suo testo dimostra una coperta ma determinata volontà di uscire dall’esortazione generica e di mettere a fuoco i trascorsi e l’innovativo sviluppo del nostro sistema formativo, andando coraggiosamente in controtendenza rispetto ai pesanti interessi e poteri oggi in gioco. Tre sono le opzioni di Draghi. La prima, esplicita, è quella di immettere nel sistema delle massicce dosi di competizione e concorrenza fra sedi e processi di formazione; la seconda, coperta, è che tali sedi e processi devono avere forte autonomia organizzativa e al limite strategica; la terza, semi-esplicita ma conseguente alle precedenti, è potenziare la responsabilità che (per garantire autonomia e competizione) l’azione pubblica deve esercitare sui contenuti e sulle procedure di misurazione e valutazione dell’efficienza nonché dell’efficacia delle varie sedi formative. Rileggiamoci queste tre opzioni. Sono di piana razionalità, com’è nello stile di Draghi, ma sono anche sottilmente «faziose» cioè volutamente in controtendenza. Chi gestisce oggi la formazione in Italia non ama la logica della competizione (il sistema è pubblico, unitario e uniforme); non ama l’autonomia delle sedi formative, come dimostra il penoso trascinarsi da vent’anni delle istanze di autonomia scolastica e universitaria; non ama la cultura della misurazione e della valutazione, anzi la vede come una tecnocratica invasione nella dignità del formatore e nella libertà del ricercatore. Ma proprio per questa triplice opposizione è meritoria la provocazione di Draghi: i gestori del sistema (politici o sindacalisti che siano) potranno in futuro non tener conto delle sue tre opzioni e continuare a privilegiare la dimensione accentrata, uniforme, non competitiva e impiegatizia del sistema; ma avranno sempre meno la copertura loro garantita dalla ricorrente magniloquenza del retorico primato del fattore umano e dell’innovazione, della scuola e della ricerca. Ma c’è un altro aspetto che merita di essere sottolineato ancorché Draghi lo evochi con mano leggera: il recupero di una buona piattaforma di cultura generalista, forse il grande tema del futuro se si vuole capire quale istruzione si debba prioritariamente perseguire. Scrive Draghi: «La formazione può essere maggiormente indirizzata verso l’acquisizione di abilità generali che siano anche di incoraggiamento a perseguire gli studi fino a gradi più elevati» e (aggiungo io) a fornire ai singoli quell’elasticità mentale che oggi è necessaria in ogni professione e per tutta la vita di lavoro.
Anche qui la provocazione faziosa è ben leggibile, se si pensa alla ubriacatura di specializzazioni che ha colpito la scuola e più ancora l’università italiana (oltre 3 mila corsi di laurea nel primo triennio) e che ha fatto dimenticare che senza una buona cultura di base siamo preda del genericismo più fatuo e i giovani non riescono neppure a scegliere consapevolmente un qualsiasi percorso specializzato (ne sono doloroso esempio vivente i quasi 60 mila iscritti a Scienze delle Comunicazioni). Se in conclusione la sortita di Draghi non verrà derubricata a evento ufficialmondano, essa impone un ripensamento di fondo di tutta la nostra politica formativa. Mi domando se qualcuno avrà voglia di farlo, oltre e dopo i condizionamenti finanziari e sindacali che si intrecciano nell’attuale Finanziaria; forse non sarebbe male che, su impulso di Prodi, i ministri competenti si accordassero per redigere una «nota aggiuntiva» che impostasse un ormai indispensabile percorso di lungo periodo per lo sviluppo formativo. È infatti incivile che si resti ancora per molto a declamare il primato dell’innovazione culturale, senza però innovare gli strumenti a essa dedicati.
«Corriere della sera» del 13 novembre 2006

Nessun commento: