14 novembre 2006

«Insegnanti e competizione per ripartire»

di Mario Draghi
(...) Dalla metà dello scorso decennio la produttività del lavoro aumenta in Italia di un punto percentuale l’anno meno che nella media dei Paesi dell’Ocse. Questo fenomeno è alla radice della crisi di crescita e di competitività che il Paese vive. Il rapido aumento dell’occupazione degli ultimi anni, favorito dalla moderazione salariale, dalla legalizzazione di parte dell’immigrazione, dalle riforme del mercato del lavoro, ha portato a un fisiologico rallentamento nella dinamica della produttività. Vi si è aggiunto però un deterioramento delle condizioni di efficienza complessiva del sistema economico. (...). Il divario La partecipazione al mercato del lavoro in Italia (...) è ancora molto inferiore alla media europea, in particolare per le donne, i giovani e le classi di età più elevate. Una maggiore istruzione tende a ridurre questi divari. Nei Paesi dell’Ocse il tasso di occupazione medio dei maschi di età compresa tra i 25 e i 64 anni con un grado di istruzione universitario è di 15 punti percentuali superiore a quello di coloro che possiedono solo un diploma di scuola secondaria inferiore; per le donne il divario sale a 30 punti. (...). Stime del Servizio studi della Banca d’Italia indicano che, a parità di ogni altra circostanza, nel nostro Paese la probabilità di partecipare al mercato del lavoro aumenta di 2,4 punti percentuali per ogni anno di scuola frequentato. Nelle regioni meridionali questo valore sale a 3,2, indice di una maggiore scarsità relativa di lavoratori qualificati. (...). Più elevati livelli di istruzione favoriscono guadagni di produttività. Una misura imperfetta di questa relazione è desumibile dal legame tra titolo di studio e reddito da lavoro (...). Nella maggioranza dei Paesi dell’Ocse, la remunerazione delle persone con un titolo equivalente alla nostra laurea specialistica supera di almeno il 50 per cento quella dei lavoratori con diploma di scuola secondaria. I differenziali salariali tra lavoratori in possesso di diploma e quelli con la sola licenza media sono compresi tra il 15 e il 30 per cento. In Italia il rendimento privato dell’istruzione è inferiore alla media dei Paesi dell’Ocse (...). Quale istruzione Nel secolo scorso la scuola e l’università italiane hanno sostenuto la crescita economica e civile del Paese; sono divenute meno elitarie, si sono progressivamente aperte alla società; educando milioni di cittadini che ne erano prima esclusi, hanno ridotto le disuguaglianze, ma hanno reso allo stesso tempo più difficile conseguire un elevato standard qualitativo. (...). Nonostante i significativi progressi conseguiti nell’innalzare il livello di istruzione dei più giovani, nel 2005 la quota di diplomati nella fascia di età tra i 25 e i 64 anni era solo del 37,5 per cento, un valore inferiore di quasi otto punti alla media dei Paesi dell’Ocse. Ancora più elevato era il differenziale nella quota di laureati, che in Italia raggiungeva appena il 12 per cento, la metà della media dei Paesi dell’Ocse. (...). Troppi adolescenti non frequentano tuttora la scuola e quelli che lo fanno mostrano maggiori difficoltà nell’apprendere rispetto ai loro coetanei europei: nel 2004 solo 76 ragazzi su 100 conseguivano il diploma, un valore tra i più bassi nel confronto con i paesi avanzati. Secondo le periodiche rilevazioni dell’Ocse gli studenti italiani alla fine della scuola dell’obbligo si collocano agli ultimi posti nell’apprendimento della matematica (...). Fondi sprecati I nostri problemi non dipendono da un ammontare inadeguato di risorse pubbliche destinate all’istruzione scolastica. La spesa per studente nella scuola dell’obbligo e in quella secondaria è anzi più elevata rispetto alla media dei Paesi dell’Ocse, per effetto non già di maggiori retribuzioni pro capite del personale docente, bensì di un più alto rapporto numerico tra docenti e studenti: in Italia ogni cento alunni vi sono 9,4 insegnanti nelle scuole secondarie e 9,2 nelle scuole elementari, a fronte di valori pari a 7,4 e 6,1 nei Paesi dell’Ocse e a 8,5 e 6,8 nella media dei Paesi europei. Sull’alto rapporto insegnanti/alunni in Italia influiscono scelte di politica sociale, come l’ampio sostegno agli studenti diversamente abili e la fornitura di servizi educativi in loco anche a comunità di piccole dimensioni sparse sul territorio. Ma pur tenendo conto di questi fattori, il divario con gli altri Paesi rimane elevato, riflettendo tra l’altro la frammentazione degli insegnamenti, e non si traduce in una miglior qualità dei risultati scolastici. (...) Gli effetti derivanti da un innalzamento dei livelli medi di istruzione possono essere più o meno intensi a seconda degli indirizzi formativi che si promuovono: sono più efficaci quelli che accrescono la mobilità di impiego dei lavoratori e, soprattutto, la diffusione di nuove idee. (...) Pur riconoscendo il ruolo importante che le scuole tecniche e professionali svolgono ancora per il nostro sistema produttivo, la formazione scolastica può essere maggiormente indirizzata verso l’acquisizione di abilità generali, che siano anche di incoraggiamento a proseguire gli studi fino ai gradi più elevati. Sotto la media Questo ci porta a discutere brevemente dell’università. Nella popolazione più giovane, compresa tra 25 e 34 anni, la quota che in Italia completa un corso di studi postsecondari (...) è ancora al di sotto della media dei principali Paesi industriali. I tassi di abbandono nell’università sono pari al 60 per cento, quasi il doppio rispetto alla media degli stessi paesi. L’incidenza dei laureati che conseguono un titolo di specializzazione postlaurea permane in Italia molto bassa, collocando il nostro paese alla quart’ultima posizione fra i Paesi dell’Ocse. Il recente incremento nel numero di laureati si è concentrato nei nuovi percorsi a breve durata (...) indirizzati soprattutto verso le aree giuridiche e politico-sociali. Più in generale, la composizione per corso di studi degli studenti universitari italiani appare sbilanciata, nel confronto internazionale, verso le discipline umanistiche e sociali a scapito di quelle tecniche e scientifiche. (...) Parte della spiegazione sta nelle elevate rendite di cui godono alcune professioni, rendite che distorcono le scelte delle famiglie, e nella insufficiente domanda di qualifiche tecnico-scientifiche alte da parte delle imprese. Le risorse pubbliche destinate all’istruzione post-secondaria sono relativamente minori in Italia che in molti altri paesi avanzati. Questo è anche il contraltare delle maggiori risorse destinate all’istruzione primaria e secondaria. (...) Non è una scelta lungimirante in un mondo in cui l’innovazione è la chiave di volta dello sviluppo. Linee evolutive Nessuno dovrebbe ormai aver dubbi in Italia sull’urgenza di rimettere in moto la crescita economica. (... E ...) per le ragioni che ho provato fin qui ad elencare, l’istruzione è uno dei più importanti capitoli di un’azione di riforma volta a modificare il contesto in cui è inserito il sistema. Una efficace politica dell’istruzione deve conciliare l’eccellenza con l’equa diffusione delle opportunità di istruirsi nella misura massima desiderata. Non vi è conflitto fra questi due obiettivi, purché il soggetto pubblico persegua l’obiettivo di livellare le opportunità di partenza e compia scelte gestionali che permettano anche al mercato di selezionare l’eccellenza. (...) Garantire a tutti i giovani le medesime opportunità di successo nell’apprendimento, purché si adoperino per meritarlo, è la chiave per innalzare insieme l’efficienza e l’equità nel campo dell’istruzione. Entrambi gli obiettivi possono essere perseguiti in vari modi fra loro complementari. Nella scuola può essere utile aumentare la concorrenza fra gli istituti, sia nell’ambito pubblico sia in quello privato, con modalità di finanziamento che da un lato premino le scuole migliori e dall’altro trasferiscano risorse direttamente alle famiglie per ampliarne la possibilità di scelta. L’informazione che guida le famiglie nelle scelte scolastiche appare insufficiente: oltre alla prospettiva di ottenere un diploma uguale per tutti, vanno loro offerti criteri uniformi di valutazione, che permettano scelte mirate. Va eliminato l’incentivo perverso, per famiglie e scuole, a colludere nell’abbassare gli standard qualitativi dell’insegnamento, specialmente se il finanziamento rimane legato esclusivamente al numero di iscrizioni. (...) Considerazioni non dissimili valgono per l’università, istituzione essenziale per una economia che voglia restare a pieno titolo nel novero di quelle avanzate. Negli anni recenti importanti interventi hanno interessato l’università italiana. Per la prima volta si è proceduto a una valutazione della qualità dell’attività di ricerca. Nonostante tutte le difficoltà di misurazione, essa può essere utilizzata in tempi brevi per orientare i finanziamenti pubblici destinati ai singoli atenei. E’importante che il lavoro svolto non si tramuti in un’occasione persa. La trasparenza La trasparenza e il pubblico accesso al processo di valutazione contribuiscono a rafforzare il confronto tra le università, accrescendo la consapevolezza delle scelte degli studenti, soprattutto di quelli meno inseriti nei circuiti informativi più ricchi. E’auspicabile che ciò costituisca il primo gradino di un’azione tesa a stimolare la concorrenza tra università, accrescendo gli incentivi all’innalzamento degli standard di qualità nella ricerca e nella didattica, nella selezione dei docenti.
«Corriere della sera» del 10 novembre 2006

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