04 ottobre 2006

Pupe e pupi

Di Massimo Gramellini
Quando avevo l'età dei ragazzini che guardano «La pupa e il secchione», la tv era un mondo adulto, dove si sbagliava da professionisti e alle domande rispondevano i secchioni, mica le pupe. Erano domande impervie: in quale giorno mese anno Dante iniziò a scrivere il terzo canto dell'Inferno? Il secchione cominciava a fare di sì con la testa, appoggiava le mani sulle cuffie a forma d'agnolotto e diceva al Mike Buongiorno di turno: me le ripete una alla volta? Quindi distillava le risposte esatte, facendoti sentire un verme. Si trattava di nozioni aride, contro cui si erano battuti i fratelli maggiori nel Sessantotto. Ma intanto il secchione le conosceva, tutte, mentre tu a stento eri in grado di distinguere una poesia di Dante da una di Petrarca: dando insicurezza al tuo sapere, il quiz ti spronava ad accrescerlo.
La tv del duemila è un mondo infantile, programmato per massaggiare l'autostima di bambini dai cinque ai novant'anni. I conduttori scandiscono le sillabe come se parlassero a una platea di poppanti e poiché la nuova regola è che ogni concorrente faccia solo quello che non sa, i secchioni sollevano pesi e le pupe rispondono ai quiz. Pensano che Dante sia un capo indiano, al massimo un olio d'oliva, e il ragazzino davanti al televisore freme di pietà e orgoglio: Dante è un poeta o qualcosa di simile. Comunque non un capo indiano, questo si sente rigorosamente di escluderlo. Osservando i finto-veri balbettii delle miss Ignoranza, il fanciullo viene colto da vertigini di beatitudine: ne so più io della tv, quindi che bisogno ho di saperne di più? Così comincia a saperne sempre di meno, fino a quando è pronto per il grande passo: attraversare il video e diventare un pupo anche lui.
«La Stampa» del 4 ottobre 2006

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