17 ottobre 2006

Fannulloni, il caso del professor M.

di Pietro Ichino

Un piccolissimo contributo per la tormentata Finanziaria del ministro Padoa-Schioppa: 42 mila euro. Poca cosa in sé; ma vale la pena di prenderla in considerazione: incominciando da questa piccola somma, come lo Zio Paperone dai suoi primi dieci cent trovati da giovane nel Klondike, si può mettere insieme una fortuna. I 42 mila euro in questione sono il costo annuo che lo Stato sostiene per il trattamento del professor M., titolare di cattedra in una scuola media superiore del centro di Milano, nonostante due ispezioni abbiano accertato che da anni viene a scuola solo quando gli pare e che anche quando ci viene non insegna nulla. La legge prescrive che venga licenziato subito; ma non se ne parla neppure: il prof. M. continua a dormire sonni tranquillissimi. La prima relazione ispettiva, del luglio 2005, rileva «il numero elevatissimo di assenze dal servizio e la loro collocazione strategica soprattutto in determinati periodi dell’anno scolastico» (per esempio: il prof. M. si ammala sempre in coincidenza con gli scrutini, mai durante i periodi di sospensione delle attività didattiche); rileva inoltre «il totale disinteresse del prof. M. per il lavoro che svolge e per gli obblighi ad esso conseguenti», in relazione ai quali «non si assume alcuna responsabilità degli esiti manifestamente negativi». Conseguenza di questa bella pagella: un breve periodo di sospensione disciplinare dal lavoro. La sanzione non produce alcun effetto: un anno dopo, un’altra ispezione si conclude con esiti identici alla prima. Nel giugno 2006 vengono dunque contestati al prof. M.: il 40% di ore di lezione perse per malattie che insorgono sovente al paese d’origine, lontano da Milano 800 chilometri, e quasi sempre in concomitanza di festività, di fine settimana, o di impegni scolastici particolari; l’assenza sistematica ai consigli di classe; la scarsa conoscenza della sua materia; i rapporti pessimi con il preside, i colleghi e gli studenti, e pressoché inesistenti con le famiglie di questi ultimi. Insomma, non occorre essere degli esperti per qualificare a colpo sicuro il prof. M. come nullafacente totale. Per i casi come questo c’è l’articolo 129 del testo unico del 1957 (che per la scuola pubblica è ancora in vigore), dove si prevede il licenziamento dell’impiegato il quale «abbia dato prova di incapacità o di persistente insufficiente rendimento». Parrebbe dunque indiscutibile che il prof. M. debba essere licenziato. Al Provveditorato e al Ministero, però, non ci pensano proprio: dicono che per uno o forse due anni il prof. M. resterà al suo posto, prima che possa essere portata a compimento la lunga e complessa pratica... di trasferimento. «Trasferimento?!?» chiedono allibiti il preside dell’istituto, gli studenti e i loro genitori. Sì: nella scuola pubblica italiana, di fatto (e contro la legge), uno come il prof. M. può andare avanti a farsi beffe dei propri studenti, dei colleghi e degli ispettori ministeriali con la serena certezza di conservare il posto fino alla pensione. Se proprio gli va malissimo - ma sono casi davvero eccezionali - gli capiterà, dopo molti anni di nullafacenza, di essere trasferito: si tratterà per lui soltanto di continuare a non far nulla in un altro istituto, magari in periferia, dove forse gli studenti e i loro genitori sono meno propensi a ribellarsi. Dicevamo che al ministro dell’Economia Padoa-Schioppa - ma anche a quello dell’Istruzione Fioroni - converrebbe prendere seriamente in considerazione il caso del prof. M.: perché qui la posta in gioco non sono solo i 42 mila euro che lo Stato spende inutilmente per lui, ma anche la cessazione di un danno grave che la scuola quotidianamente subisce a causa del suo rimanere in ruolo. E di casi clamorosi come quello del prof. M., purtroppo, ce ne sono in moltissime scuole. Basterebbe che il ministero dell’Istruzione smettesse di chiudere ermeticamente le orecchie alle proteste di studenti e genitori esasperati, vittime di questa forma di «evasione» doppiamente dannosa: di quei casi ne salterebbero fuori a migliaia. Non pensano i nostri ministri - e la Corte dei Conti - a quante cose buone si potrebbero fare per la scuola pubblica se, disattivando i circoli viziosi che oggi impediscono un’applicazione rigorosa della legge, si risparmiassero quegli stipendi non dovuti?
«Corriere della sera» del 16 ottobre 2006

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