09 luglio 2006

Spagna 1936, il travaglio degli intellettuali

ANNIVERSARI - La guerra civile divise anche l’intellighenzia cattolica. Sturzo fu da subito contro Franco
Di Edoardo Castagna
Claudel sostenne i «crociati»,facendo indignare Maritain e Mauriac. E Bernanos,politicamente di destra,denunciò gli eccidi fascisti
Nemmeno oggi, a settant'anni di distanza, è facile stabilire chi avesse ragione. O anche solo meno torto. Nazionalisti e repubblicani si macchiarono tutti di crimini sanguinari, gratuiti. Ben oltre le già tragiche "esigenze" di una guerra civile. Visti oggi, i protagonisti del conflitto fratricida che si aprì in Spagna nel 1936 sembrano assomigliarsi come gocce d'acqua. Solo chi non si è ancora liberato dalle tossine ideologiche del Novecento può ancora preferire fascisti a comunisti o viceversa. Quello che si vide, in Spagna, fu il cozzare l'una contro l'altra di due ideologie ugualmente totalitarie, ugualmente feroci, sprezzanti dell'uomo, della vita, della dignità. Oggi questa è coscienza sempre più comune. Ma allora, quando tutto era avvolto nella nebbia degli eserciti in lotta e dalle passioni della politica, i contorni erano meno nitidi, le categorie più appannate.
Il conflitto travagliò, in particolare, le coscienze degli intellettuali cattolici. Allo scoppio del conflitto la Chiesa aveva sospeso il giudizio, salvo poi prendere con decisione posizione a favore del diritto-dovere alla rivolta - tra l'altro, nell'enciclica Divini Redemptoris di Pio XI - dopo che iniziarono a giungere notizie dei massacri compiuti dai rossi contro i cattolici: chiese e conventi incendiati, bando ai gesuiti, aggressioni, omicidi. Tra il 1936 e il 1939 si contarono quasi diecimila martiri: tredici vescovi, 4184 sacerdoti, 2365 religiosi, migliaia di laici, militanti di Azione cattolica e di altre associazioni. Il numero definitivo non si è mai potuto stabilire. Gran parte delle vittime perì per mano della fazione repubblicana, ma non mancarono religiosi colpiti dai nazionalisti: Franco fece fucilare, per esempio, sedici sacerdoti baschi che si erano schierati, come tutta la loro cattolicissima regione, dalla parte repubblicana, più pronta a prestare orecchio alle istanze autonomiste.
I vescovi spagnoli difesero l'insurrezione nazionalista parlando apertamente di «crociata». Definizione che indignò Jacques Maritain: «Se la si crede giusta, allora che si invochi la giustizia della guerra che si fa, non la sua santità!». Il filosofo francese prese più volte posizione sul conflitto in corso, condannando con durezza «la violenza da entrambe le parti» e aggiungendo, in particolare: «È sacrilegio profanare i luoghi sacri e il Santo Sacramento, è un sacrilegio fucilare, come a Badajoz, centinaia di uomini perché festeggiano l'Assunzione, o distruggere sotto le bombe, come a Durango, le chiese e il popolo che le riempie, o, come a Guernica, una città intera, con le sue chiese e i suoi tabernacoli». Ma, precisava, il diritto alla legittima difesa iniziava soltanto nel momento dell'aggressione, e dunque non era moralmente lecita la rivolta preventiva dei nazionalisti.
Tra la ferma condanna della violenza anticattolica e il rigetto dell'estremismo filo-falangista, in Maritain c'è equilibrio. Nettamente sbilanciato verso Franco appare invece Paul Claudel, anche se le sue simpatie andavano, più che al caudillo, ai cattolici sotto attacco: «Chi attacca la Chiesa - scriveva ad André Gide -, per me, è come se colpisse mio padre o mia madre». E, nella Chiesa, proprio la Spagna era per il poeta «concentrazione della fede, quadrata e massa dura». Alle vittime dei rossi dedicò anche un poema, Ai martiri spagnoli, del 1937. Uno sbilanciamento che suscitò la reazione di Maritain e di François Mauriac, che insieme firmarono, nel marzo del 1938, il manifesto di presentazione del Comitato francese per la pace civile e religiosa in Europa. Condannarono i bombardamenti aerei contro i civili, in particolare quello su Barcellona: «Se pure bastano ragioni semplicemente umanitarie per condannare un simile massacro di non combattenti, questo risulta ancor più rivoltante, se possibile, quando i capi responsabili delle operazioni dicono di difendere la civiltà cristiana». Con Maritain e Mauriac fir marono l'appello, tra gli altri, il poeta Georges Duhamel e i filosofi Gabriel Marcel e Maurice Merleau-Ponty. Mauriac - come del resto Maritain - era anche particolarmente attento a cogliere la particolarità delle situazioni basca e catalana, in bilico tra fedeltà al credo e alla tradizione cattolica e le esigenze di autonomia, meglio tutelate dalla Repubblica.
Decisamente più vicino alla Falange fu invece Georges Bernanos, politicamente orientato a destra e ammiratore di Primo de Rivera. Tuttavia, in I grandi cimiteri sotto la luna, lo scrittore ebbe l'onestà di narrare senza remore le stragi fasciste avvenute a Maiorca, l'isola dove risiedeva da tempo. Il libro ebbe grande eco soprattutto tra le coscienze cattoliche, colpite da una tanto cruda relazione della atrocità dei nazionalisti.
A prendere posizione contro Franco fin dal principio fu, in Italia, Luigi Sturzo. Il sacerdote, esule per il suo antifascismo, già nel settembre del 1936 sosteneva che, se anche le finalità dei nazionalisti fossero state buone, i mezzi da loro adottati ripugnavano alla morale. Per Sturzo la sollevazione era illecita sul piano teologico ed etico, perché produceva un male maggiore - la guerra civile - di ciò contro cui si rivoltava. Sul piano ecclesiale, riteneva che la Chiesa dovesse disimpegnarsi. E sul piano politico sosteneva la legittimità del governo repubblicano e delle istanze basche e catalane. Alla base delle prese di posizione di Sturzo c'era una lettura particolarmente acuta delle cause dello scontro, allora tanto difficili da scorgere: «Il fondo della guerra civile - scriveva nel febbraio del 1937 - è sociale e non religioso: lo spagnolo è a suo modo cattolico anche quando brucia le chiese».
«Avvenire» dell’8 luiglio 2006

Nessun commento: