08 luglio 2006

Rabdomanti della parola

LETTURE ESTIVE - Dai classici ai nuovi narratori col piacere (ma anche la fatica) di gustarsi un libro: parla la scrittrice Paola Mastrocola

Di Fulvio Panzeri

su Pennac: «Rispetto il suo decalogo ma non la visione della lettura intesa solo come divertimento. Non è come guardare la tv»
su Camilleri: «I gialli possono essere anche di una noia totale: il solito commissario con i suoi tic. La vera lettura è altro»

D'estate si legge di più. La lettura sembra conciliarsi con i giorni della vacanza. Com'è possibile leggere oggi? E ancor di più come affrontare le vacanze in compagnia dei libri? Nessuno meglio di una scrittrice-professoressa come Paola Mastrocola, l'autrice di Una barca nel bosco e Che animale sei? (Guanda), può aiutarci a rispondere a queste domande, tanto più che l'abbiamo trovata già in piena vacanza e alle prese con uno zaino particolare, carico di letture.
Quanti libri ti sei portata al mare?
«Voglio essere precisa: per questi quindici giorni di vacanza ho qui con me sette libri, decisamente troppi, perché so che ne leggerò solo uno o due, ma io sono fatta così come lettrice, non sempre sono fortunata al primo colpo di pagina e non è detto che riesca a trovare subito il libro giusto da leggere. Prendiamo un esempio, tra quelli che ho portato. Mi ero ripromessa di rileggere L'educazione sentimentale di Flaubert, un grande libro, che però in questo momento mi annoia e non riesco ad andare avanti. Ho con me anche le Lettere luterane di Pasolini che non avevo mai letto. Ho iniziato a leggerlo e l'ho finito in una sera. Sembra scritto oggi, con tutto il discorso del genocidio culturale. È bellissimo quando dice che noi abbiamo ingannato i giovani presentando loro un mondo di benessere in apparenza, che nella realtà non è tale. Tutto quello che propongono le immagini televisive, in realtà si rivela per i giovani un'illusione, un inganno».
E gli altri libri?
«Ho portato anche La paga del sabato di Fenoglio. Era da tanto che non lo leggevo più. L'ho trovato eccezionale e mi sono chiesta quanti di noi, scrittori di oggi, saremo in grado di scrivere come lui. Poi leggo anche due o tre libri contemporaneamente. Adesso ho iniziato Il mare di John Banville, uno scrittore inglese contemporaneo, appena uscito, che mi sta piacendo molto. C'è una complessità di fondo, non si riesce a capire se parla di vivi o di morti, intravedi dei personaggi, dei villeggianti. Ho una raccolta dei racconti di Dino Buzzati, lo scrittore italiano che amo di più e non mi delude nemmeno ora con quel suo modo metafisico, assurdo di parlare della realtà. E poi Amsterdam di Marta Morazzoni, che non ho ancora iniziato».
Vedo che non ci sono gialli e l'estate è "gialla" per eccellenza. Come mai?
«Credo di essere una delle poche persone che ritengono che la lettura di un giallo, Camilleri compreso, sia una noia totale: troppa retorica, sempre il solito commissario con i suoi tic, con ciò che gli piace mangiare, con una donna che gli sta accanto, con un'ambientazione pittoresca e caratteristica. Del resto oggi si scrivono solo gialli, perché la parola "letteratura" è diventata oscena, si parla di "scrittura". Non discrimina, non è una parola d'èlite. Oggi sembra che si abbia bisogno solo di pura trama».
Cos'è per te allora la lettura?
«È senz'altro un piacere, che però ha in sé una leggera vena di dovere. Non è proprio pura libertà sfrenata, conserva sempre l'aspetto di una cosa che "è bene fare". Del resto sono d'accordissimo e mi piace il fatto che la lettura contenga anche un po' di fatica. Quando leggi, nasce il desiderio di fare altro, di sottrarti a qualcosa che di per sé è più allettante. Fai fatica, sapendo però che il meglio arriva alla fine. Intuire la lettura solo come piacere è sbagliato di per sé. Secondo me è necessario ridare al libro la capacità di stupire: un libro che si presenta all'apparenza come noioso può nascondere in sé la lettura più entusiasmante; quello che si propone come puro divertimento può rivelarsi di una noia mortale».
Sei allora contraria al "decalogo" di Pennac, che all'inizio degli anni '90 elencava i diritti del lettore e apriva una stagione all'insegna del "piacere di leggere" a tutti i costi?
«Direi che non sono contraria a priori: alcune sue affermazioni sono giustissime, solo che non lo prenderei così alla lettera. Non sono d'accordo sull'affermazione che la lettura sia solo divertimento e piacere, perché tut to è ormai diventato divertimento. La società ha accettato il diritto al piacere e ne ha fatto la sua unica regola. È riduttivo allora affermare che si legge solo per passare il tempo, come guardare la televisione o giocare con un videogioco. La lettura ti dà di più, l'arricchimento di un mondo più profondo per esempio. Il libro ti obbliga a una solitudine che è unica».
In estate c'è un gran via vai dalle biblioteche alle librerie delle liste di lettura, con studenti alla ricerca del libro da leggere consigliato dalle insegnanti. Da professoressa come ti regoli?
«I consigli di lettura servono sempre. Se non proponi la "tua" lista il ragazzo o non legge nulla o ti indica dei titoli che sono sempre gli stessi best-seller: Harry Potter, Dan Brown, Wilbur Smith. L'insegnante ha aspirazioni e responsabilità maggiori per i suoi alunni. Personalmente consiglio pochi libri che un giovane non dovrebbe perdersi: una prima parte di "classici" da Pirandello a Flaubert, da Fenoglio a Buzzati, e poi gli autori contemporanei che servono molto per far capire che la vita è andata avanti. Con una regola morale: non puoi consigliare un libro ai tuoi allievi se non lo hai letto e non ti è piaciuto. Tutto parte da una prospettiva di amore nella lettura e nei consigli di lettura».
«Avvenire» dell’8 luglio 2006

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