11 luglio 2006

Petrolio, addio? La rivoluzione verde dei biocarburanti

TECNOLOGIA - Dal primo luglio, nella benzina e nel gasolio gli automobilisti italiani trovano (per legge) l’1% di bioetanolo o biodiesel. Per la Ue si dovrà arrivare al 5% entro il 2010. Si è ormai aperta l’era degli oli combustibili vegetali, tra speranze e dubbi sulle loro effettive potenzialità
di Luigi Dell'Aglio
In Usa molti automobilisti vanno al ristorante a fare il pieno. Quasi gratis. Per loro, il gestore fa preparare il biodiesel con l'olio esausto usato per le fritture. Si riforniscono e partono allegri per la gita. L'Italia non conosce ancora riti un po' hippy come questo, che rende il biocarburante più familiare che mai. Però dal primo luglio, nella benzina e nel gasolio gli automobilisti italiani debbono trovare, per legge, un 1% di biocarburante. E non mancano gli eventi organizzati per dimostrare che il combustibile verde è un carburante eccellente. Da Venezia ad Adria, frotte di famiglie festanti hanno viaggiato sul primo treno che andava a olio di girasole. Sul lago di Como, la Coldiretti ha fatto navigare un motoscafo con l'olio di girasole prodotto dalle proprie aziende. In alcune città, tra cui Milano, si vedono i primi bus a biodiesel. L'altra notizia significativa è che la casa automobilistica svedese Saab vuole inaugurare una linea di motori progettati proprio per i biocarburanti. Nessun dubbio: si apre l'era moderna degli oli combustibili vegetali. Conquistano il loro posto sulla ribalta; per ora è piccolo, ma crescerà (anche se non si potrà destinare alle piante oleaginose tutto il suolo agricolo del pianeta).
La legge italiana sull'1% attua una direttiva comunitaria. L'Europa ha fissato una tappa: entro l'anno 2010, la percentuale di biocarburanti che va nel serbatoio delle auto dovrebbe salire al 5%, per poi tendere all'8%. La direzione intrapresa è quella giusta, dicono gli ecologisti e la Fao. Si comincia a prendere le distanze dal petrolio. Certo non pochi dubitano che possa essere rigorosamente rispettata la tabella di marcia della Ue. Quella scritta dalla Fao, poi, è ancora più ambiziosa: portare al 25% (ma nel 2026) la quota del fabbisogno energetico mondiale coperta dai biocombustibili.
L'automobilista italiano che fa rifornimento di benzina si trova ora nel serbatoio un 1% di bioetanolo, combustibile molto versatile perché prodotto dalla fe rmentazione di zuccheri e amido (contenuti nel mais, nella barbabietola e nella canna da zucchero) o della cellulosa, componente primario di tutte le piante. Chi invece alla pompa si rifornisce di gasolio trova un 1% di biodiesel, ricavato da piante oleaginose, che producono semi contenenti olio (di girasole, di colza, eccetera) o ottenuto da alghe, come spiega Attilio Citterio, ordinario di Chimica al Politecnico di Milano.
Gli oli vegetali, usati come combustibili, presentano notevoli vantaggi. Anche gli idrocarburi derivano da piante. Ma, mentre il petrolio è un prodotto fossile, proviene cioè da depositi organici formatisi 150-350 milioni di anni fa, e perciò, una volta consumato, non si ricrea (se non in tempi geologici), gli oli vegetali sono una fonte di energia che si rinnova ogni anno con la coltivazione di piante oleaginose. Una fonte relativamente "pulita". Rispetto ai combustibili fossili, i biocarburanti contengono meno zolfo, meno fosforo e meno aromatici, e perciò producono meno agenti inquinanti.
Ma, per rendere possibile la diffusione del biocarburante o biofuel, bisogna garantire alcune condizioni. Soprattutto la competitività della nuova fonte energetica. Se ne occupano una decina di centri di ricerca, in Italia Germania, Francia, Austria e Spagna (tra quelli italiani, il Politecnico di Milano, l'Università di Napoli, la Stazione sperimentale dei combustibili di San Donato). Che cosa emerge da queste ricerche? Nei semi delle piante oleaginose si trovano non solo olio ma anche zuccheri, proteine, fibre, vitamine, sali minerali. Per rendere competitivo il biocarburante, spiega il professor Citterio, bisogna valorizzare tutti i suoi sottoprodotti. In particolare, la glicerina, il co-prodotto primario del biodiesel. «Ormai da due anni, cresciuto l'interesse per il biocarburante, le aziende produttrici europee registrano una sovrapproduzione di glicerina. Viene usata in almeno 3000 applicazioni, dal sapone ai dolciumi. Ora però si pensa di utili zzarla come fonte di nuovi biocombustibili e come materia prima da convertire in nuovi composti e materiali. Stiamo studiando alcune soluzioni. I biocombustibili sono ottimi carburanti ma si portano appresso costi che devono essere abbattuti».
E c'è un altro rischio da evitare. Lo segnala l'associazione Amici della Terra. Tra i vari oli vegetali combustibili, il più a buon mercato è oggi l'olio di palma. Per soddisfare la domanda europea in aumento, buona parte di quest'olio viene comprata in Indonesia. Grandi isole come Borneo e Sumatra potrebbero trasformarsi in palmeti sterminati. La deforestazione colpisce anche le mangrovie. E la torba, disseccata dalla distruzione di questi alberi, emette tanta anidride carbonica. Così l'olio di palma finisce per arrecare all'ambiente più danni del petrolio. Attenti a non alterare equilibri che esistono da milioni di anni fra le varie specie vegetali, raccomanda Citterio. «Quanto all'Italia, i biocarburanti possono favorire il recupero di tante aree agricole marginali e offrire occasioni di lavoro. Non dovrebbero richiedere grosse importazioni di materia prima». Secondo la Coldiretti, l'Italia può destinare alle colture energetiche fino a 4-5 milioni di ettari.
«Avvenire» del 9 luglio 2006

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