15 luglio 2006

Droga, dei nostri figli si tratta

Calma, ministro Ferrero
di Giuseppe Anzani
Dire che la droga è una piaga sociale si fa presto, dire che occorre la prevenzione costa meno di niente. Ma neppure serve a niente, senza il “fare”, quando tra il dire e il fare ci sono di mezzo 600 morti all’anno, due funerali al giorno. E che “il fare” sia fallimentare lo dicono le cifre della "Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia" presentata ieri dal ministro Paolo Ferrero. Fra il 2001 e il 2005 il numero di consumatori di cannabis è raddoppiato passando da 2 a 3,8 milioni; raddoppiati anche i drogati di cocaina (da 350 a 700 mila); triplicato l’uso di allucinogeni e di pasticche euforizzanti.
È come prendere una frustata, nella sonnolenta disattenzione di fronte a un problema non più strisciante ma galoppante. Persi dietro le sole stupide diatribe su proibizionismo e antiproibizionismo, remissivi invece che combattivi, non ci siamo più accorti che una generazione di giovani è minacciata dal rischio di rovinarsi la vita; è dei nostri figli che si tratta, dei figli che ci spetterebbe di educare e di accompagnare alla vita adulta. L’insidia della droga comincia da più lontano che dall’incontro con lo spacciatore di spinelli, di coca, d’eroina e di pasticche; comincia dalla cultura dello sballo, accarezzata come avventura “libertaria” che conduce “fuori” dalla grigia realtà, alterando i circuiti della psiche insieme al biochimismo del cervello.
È in quel contesto che si incomincia a fidanzarsi con la morte; perché, se non subito nel corpo, qualcosa “dentro” già fugge la vita. Emozioni deformate, saturazioni artificiali della sensitività, viaggio dentro un tempo destrutturato, ridotto senza più scansioni all’ora “infinita” di un quadrante senza lancette; sogno o incubo, eclisse temporanea del contatto con la vita. Per molti non c’è ritorno, la dipendenza dalle sostanze diviene catena, e spesso occasione di delitto e di rovina: il numero dei detenuti per reati connessi alla tossicodipendenza (furti, scippi, rapine ecc.) sf iora il 30% dell’intera popolazione carceraria.
Dice bene il ministro Paolo Ferrero quando parla di «centralità della prevenzione e dell’informazione sulla pericolosità delle sostanze e degli abusi». Ma dice male, malissimo, quando inserisce nella ricetta la «depenalizzazione dei consumi». Ministro, il consumo personale è depenalizzato dal 1975; le sanzioni amministrative sono blande; vuol forse togliere anche quella minima dissuasione? O magari plaude al raddoppio, insieme al ministro Turco, della quantità di cannabis consumabile senza paure? Un po’ di aritmetica, signori, raddoppiare il consumo vuol dire anche raddoppiare lo spaccio sul mercato. Non c’è mercato senza domanda, tutto ciò che toglie remora alla domanda asseconda il mercato. Se chiamiamo turpe quel mercato, allora siamo seri.
Educare significa anche dire dei “no”, mettere limiti. La parola “scoglio” vuol dire ostacolo, ma anche appiglio di salvataggio cui aggrapparsi quando le rapide ti portano via. Il limite, per la psicologia moderna, è essenziale per lo sviluppo della volontà: insegna l’approdo alla libertà non come destrutturato smarrimento in un deserto senza piste, ma come sentiero finalizzato a un traguardo di vita. Dal sentiero di vita dei nostri figli la droga va espulsa, non addomesticata.
«Avvenire» del 14 luglio 2006

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