23 giugno 2006

E il terrorismo generò il nulla

Nichilismo e violenza politica: un binomio portato allo scoperto per primo da Dostoevskij. Parla il filosofo Sergio Givone
«Chi, come i kamikaze, uccide appellandosi a un’idea religiosa, in realtà uccide nel nome del Dio in cui non crede più»
Di Roberto Righetto
È il primo scrittore (e forse non è sbagliato dire pensatore) che ha portato alla luce il mutuo specchiarsi di nichilismo e terrorismo. Il primo ad aver rappresentato nei suoi personaggi i prototipi ideali del nichilista moderno e finanche postmoderno. Parliamo del più grande romanziere russo, Fedor Dostoevskij, al quale il filosofo Sergio Givone riconosce doti inaudite nell'aver scavato all'interno del dramma dell'uomo: «Prima di Nietzsche e oltre Nietzsche», spiega Givone, col quale parliamo della nuova edizione del volume Dostoevskij e la filosofia, che torna in libreria in questi giorni da Laterza con una nuova introduzione.
Professor Givone, nella nuova prefazione al volume su Dostoevskij, lei comincia facendo notare come, rispetto a vent'anni fa, le questioni poste alla filosofia dal grande scrittore russo sono tornate di moda: in che senso e perché? «Dostoevskij aveva un atteggiamento umile nei confronti della filosofia: voleva ascoltare, capire, e infatti frequentò come uditore all'università di Mosca le lezioni del giovane Solov'ev. Eppure è vero, come per primo ben comprese Nietzsche, che l'opera di Dostoevskij rappresenta per la la filosofia una vera e propria sfida, una provocazione continua. Ebbene, le questioni che Dostoevskij pone alla filosofia ruotano tutte intorno alla domanda: se il mondo abbia senso o non sia invece un mare di assurdità senza fine e senza rimedio, se la vita con i suoi molti dolori e orrori meriti il nostro sì o no, insomma, se Dio esista oppure no. Quelle di Dostoevskij sono dunque le questioni ultime. Precisamente le questioni di cui la filosofia degli anni più recenti sembrava volersi disfare e che comunque aveva confinato in una dimensione d'inattualità. Era sembrato vincente il progetto di una filosofia della storia all'insegna della emancipazione indolore dai grandi temi metafisici. Ma nel momento in cui quel progetto mostrava tutti i suoi limiti, anche a seguito di drammatici eventi storici che po nevano l'umanità ancora una volta di fronte a prospettive estreme (altro che emancipazione indolore!), era inevitabile che il "pensiero" dostoevskiano si ripresentasse in tutta la sua problematicità».
Sulla scia di Dostoevskij lei accosta nichilismo e terrorismo e fa le opportune distinzioni: potrebbe spiegare l'ambivalenza di questo rapporto? «Dostoevskij ci aveva avvertito: nichilismo e terrorismo sono stretti in un nodo. Noi invece, mettendoci alla scuola di Nietzsche piuttosto che di Dostoevskij, abbiamo creduto di poter sciogliere quel nodo. Ci è sembrato cioè che il nichilismo terroristico, quello che ha un atteggiamento aggressivo nei confronti della tradizione e vuol fare tabula rasa, fosse ormai superato, e fosse venuto il tempo del nichilismo tranquillo e benevolo, il nichilismo che viene a patti con il nulla e vede nel non senso il presupposto di un ironico affrancamento dalla serietà della vita. Il fatto è che Dostoevskij aveva già previsto questa possibilità e l'ha delineata perfettamente in almeno due suoi personaggi: Versilov dell'Adolescente e Ivan Karamazov, i quali a un certo punto affermano che l'uomo deve imparare ad accettare la morte e a liberarsi una volta per tutte dall'assoluto se vuole avere rapporti amichevoli con i suoi simili e con il mondo. Ma Dostoevskij ci fa vedere come questa sia un'illusione, anzi, un inganno, addirittura un inganno demoniaco, come gli stessi Versilov e Karamazov sono costretti ad ammettere. Da questo punto di vista Dostoevskij si colloca al di là di Nietzsche. E' più attuale di Nietzsche».
Oggi il fenomeno dei kamikaze porta a far parlare (è il caso di un recente libro di Glucksmann, intitolato «Dostoevskij a Manhattan») di un nuovo rapporto fra nichilismo e terrorismo, nel senso che i terroristi di oggi sono i nuovi nichilisti: concorda con questa tesi? «Non soltanto credo che il terrorismo odierno di matrice antioccidentale sia sostanzialmente una forma di nic hilismo, ma sono anche convinto che il nichilismo, così com'è venuto configurandosi nella nostra società, abbia un'anima terroristica e sia fonte di terrorismo. Consideriamo questi due diversi aspetti del problema, pur così intrecciati. Primo punto: il terrorismo islamico. Da imputare, io credo, al nichilismo prima ancora che al fondamentalismo religioso. I terroristi non uccidono in nome del Dio in cui dicono di credere, ma in nome del Dio in cui non credono più, in nome del Dio di cui disperano. C'è una radice di assoluta disperazione nel terrorismo, e perciò il terrorismo ha a che fare con il nichilismo ben più che con la religione (infatti il nichilismo è un fenomeno di consumazione e di tramonto della fede religiosa). Secondo punto: il nichilismo occidentale. Il vuoto di senso o se si preferisce il senso di disorientamento e smarrimento nel quale versiamo è per il terrorismo una specie di magnete, una cupa attrazione, un bersaglio da colpire e da annientare. Con ciò non intendo giustificare il terrorismo. Voglio però dire che fra il nostro stile di vita (uno stile di vita "non negoziabile", ha detto il presidente degli Stati Uniti) e la miseria e la disperazione degli esclusi da questo stile di vita c'è una relazione di causa ed effetto. Chiudere gli occhi di fronte a questa relazione significa non vedere che il terrorismo è non solo cosa degli altri, ma anche cosa nostra».
«Avvenire» del 23 giugno 2006

Nessun commento: