27 giugno 2006

Cultura per partito preso. Sinistra e destra non comunicano

Chi ama Baricco non legge Buttafuoco. Chi si diverte con Forattini non ride con Altan. Chi ascolta De Gregori non vuole sentir parlare di Gigi D'Alessio. Tutti i veti incrociati di un Paese bloccato.
di Roberto Cotroneo
Benedetto paese: tutto virtuale, tutto privo di sostanza, tutto letto e attraversato da fenomeni passeggeri, da opinioni prive di qualche legittimità. Paese sconosciuto ai giornali, che lo immaginano sempre troppo diverso da quello che è. Paese sconosciuto ai politici, che vivono in una dimensione simile a quella di Matrix. Paese sconosciutissimo, questo sì, a intellettuali, registi, scrittori, attori e quant'altro, che scambiano sempre di più la realtà con il gossip, e il loro piccolo mondo (antico, oramai) con il centro dell'universo.Benedetto paese, diviso quasi a metà. Da una parte la nebulosa della sinistra, che ha vinto le elezioni, dall'altra la destra, che le ha perse di poco. In mezzo una linea sottile, così sottile che rischia di spezzarsi in mille cocci affilati ogni volta che ci si avvicina a quel confine, a quel bordo trasparente che separa le due Italie.Peccato che quel bordo, quel sottile confine non sia mai esistito. In quella striscia di terra che oggi vediamo piccolissima, una lingua appena, un tempo c'era una vastissima zona, quasi un territorio a sé, che era il centro. Una sorta di stato cuscinetto, di zona franca, dove avvenivano gli scambi, dove prendeva corpo il doroteismo genetico di questo Paese. Era quel luogo dove ci si giocava tutte le carte possibili. E dove si parlavano un'Italia moderata e cattolica, e talvolta reazionaria, e un'Italia borghese, laica e riformista, in gran parte, con frange massimaliste e vetero-marxiste. Perché era così che funzionava tutto. E tutto funzionava perché a tenere sotto controllo la terra di mezzo, per dirla alla Tolkien, c'era un piccolo esercito di caschi blu, costituito da quel mondo azionista, liberale e radicale, che ha dato il meglio di sé proprio nel lavoro culturale, proprio nella volontà di tenere assieme, se vogliamo in modo sincretico, ma certamente con grande sforzo e creatività, il mondo culturale italiano. Rendendolo, il più delle volte, accettabilmente europeo.
Allora succedeva che Alberto Moravia, che votava Pci, fosse uno scrittore decisamente borghese, amato anche dai lettori di destra, anche se pubblicamente appariva come un intellettuale engagé e politicamente lontano dal mondo dei moderati. E accadeva che un vero reazionario come Carlo Emilio Gadda divenisse, assieme a un altro reazionario come Tommaso Landolfi, una bandiera del progressismo letterario italiano. Se così possiamo definirlo. Accadeva che Pier Paolo Pasolini piacesse più a destra che a sinistra. Anche perché dire che Pasolini piacesse alla sinistra, con il senno di poi, non è proprio una verità, anzi, forse è falso. Non è un caso che scrivesse sul Corriere della sera e non sui giornali della sinistra. E accadeva che un grande borghese come Giulio Einaudi oltrepassasse di continuo i suoi confini per marciare in quella terra di mezzo e andare a cercare gli autori della sinistra. Mentre un intellettuale cresciuto con la scuola di Francoforte come Roberto Calasso facesse il cammino opposto. Peccato che in tutti questi andare e venire, in queste marce di avvicinamento che parevano «Ronde di notte», si finisse per passare il proprio tempo sostanzialmente in quel luogo di mezzo, che a volte poteva assomigliare persino a una palude, ma che di fatto era la ricchezza di questo Paese. La sua capacità di tenere unite due anime distanti, quella cattolica e quella socialista, attraverso un continuo scambio e un continuo dibattito. Ma oggi la terra è stata divisa, parcellizzata, un po' come la fine di quel latifondo che ci è stato raccontato dai grandi autori siciliani. E la parcellizzazione ha diviso in due tutto, come fossero i territori palestinesi dallo stato di Israele.Chi cercava un punto di mezzo, un luogo dove riconoscersi ha trovato soltanto filo spinato, e qualche mitragliatore. Di passeggiate non se ne fanno più, l'appartenenza è diventata una parola d'ordine. E naturalmente i lettori, il paese reale, diciamo così, si è adeguato.
Possiamo dire che oggi chi legge Stefano Benni o Alessandro Baricco non legge Pietrangelo Buttafuoco? Plausibile. Per farlo dovrebbe rompere il vetro e oltrepassare un confine di cui non si sa più nulla. Certo, anche gli anni Settanta avevano ferree regole ideologiche praticamente su tutto, la musica alternativa e la musica commerciale, per fare un esempio, o certa letteratura all'indice, per destra e sinistra. Ma erano polemiche per gente un po' fissata, cose che servivano a fare i giornali o i dibattiti di quegli anni. All'epoca lo scontro politico, quello sì, era drammatico. Ma nei fatti i lettori e quelli che ascoltavano e sceglievano la musica si muovevano a modo loro, infischiandosene amabilmente dei veti ideologici e delle divisioni campate per aria.
Allora sentivi Lucio Battisti e Francesco Guccini, senza problemi, e quando era il momento di mettere sul piatto del giradischi Fabrizio De Andrè non sapevi bene, anarchico com'era, da che parte doveva stare. Oggi è tutto più banale. Chi va a sentire recitare Luca Barbareschi a teatro, non entrerebbe mai a uno spettacolo di Dario Fo. E chi ama Nanni Moretti si tiene a distanza dai film di Neri Parenti. C'è da capire che esistono solide differenze di qualità. Parenti non è Moretti, e Barbareschi non è un premio Nobel per la letteratura. Per un tempo Forattini e Altan potevano piacere allo stesso pubblico. Oggi, anche per certi radicalismi satirici di Forattini (mentre Altan è lo stesso di sempre), c'è proprio un aut aut. E chi ascolta il «Tg4» di Emilio Fede è assai improbabile che si guardi con piacere Che tempo che fa di Fabio Fazio. O, per andare sul versante dei comici, il Bagaglino da una parte e Serena Dandini dall'altra. O, nella canzone, i motivi di Francesco De Gregori e quelli di Gigi D'Alessio. Per non dire che è raro, a parte gli addetti ai lavori, trovare qualcuno che in edicola dica: La Repubblica e il Giornale e se li porti via tutti e due. Ovvio che esistono delle differenze; ed è ovvio che, soprattutto a destra, si sia radicalizzato lo scontro con il centrosinistra in un modo che non si prevedeva. Ovvio che ogni giorno il Paese sia più diviso, la politica più inconciliabile. L'arma della delegittimazione è uno strumento che la destra ha fatto suo come fosse un grimaldello. Però questo, nel tessuto connettivo, e soprattutto in quello culturale, del Paese è passato.Il mettere tutto assieme di un tempo è diventato un continuo dividere, un continuo tenere a distanza. A parte poche eccezioni, che rispecchiano un mondo perduto dove ancora tutto è possibile, ovvero: qualche volta ancora Il Foglio ma ormai sempre meno; un po' La Repubblica, nei suoi Album e nei suoi Diari; certamente il Corriere della sera, che ormai sfoggia un mielismo di seconda generazione. Il resto è una sorta di «fare fronte» piuttosto innaturale, e persino febbrile. Nell'arte chi applaude Maurizio Cattelan si volta disgustato solo al nome di Marco Goldin, organizzatore e curatore di mostre e interprete di un populismo artistico che piace tanto a destra. O vogliamo tirare fuori una contrapposizione tra i disegni e i fumetti di Lorenzo Mattotti contro il solito Diabolik? Certo un tempo i lettori erano quasi gli stessi, oggi no. Persino all'interno della nebulosa dei cattolici sta succedendo qualcosa che non si prevedeva. C'è chi sta con il cardinal Ruini e c'è chi sta con il cardinal Martini: è vero che tutti alla fine dovrebbero stare con Benedetto XVI, ma non è così scontato.
Nella nuova Italia binaria di questi ultimissimi anni l'idea che possa esistere una terra di mezzo, intesa un tempo come luogo di ricchezza intellettuale e raffinatezza critica, è diventata sinonimo di inciucio. Di pasticcio all'italiana, di compromesso, di oscura manovra, come se fossimo sempre stati un paese manicheo, e dicotomico, e non un paese eclettico e sincretico. Non era così un tempo e, senza arrivare ai paradossi delle tentazioni di «große Koalition», non lo sarà neppure per il futuro. Questa è un'epoca cuscinetto, un cuscinetto di materiale scadente, va detto, questo lo sappiamo. Ma alla fine quella parete che divide il popolo della destra da quello della sinistra finirà in frantumi, risultato di una spinta più forte o di un colpo di vento. Magari i cocci per terra saranno molti, e ci sarà da ripulire tutto, e qualcuno finirà per tagliarsi. Ma si tornerà a far circolare le idee come un tempo, come dappertutto nel resto del mondo civilizzato; come in Francia, in Spagna, o in Germania, sperando finiscano presto certe idiozie manichee.
«Panorama» del 22 maggio 2006

Nessun commento: