29 maggio 2006

Questa scoperta l’ho già vista: al cinema!

Da «Minority Report» a «Mission: Impossible», i kolossal futuristici di Hollywood incantano anche per gli affascinanti ritrovati tecnologici che sfoggiano. Che spesso non sono fantasie avveniristiche, ma progetti e prototipi concreti, quasi pronti a essere lanciati sul mercato
Di Alessandro Zaccuri
Non ci resta che sperare nella Cura, sempre che non arrivi prima la Zampa di Coniglio. O magari è il contrario, vai a saperlo. La Cura è il mirabolante protocollo medico che nel film X-Men 3: Conflitto finale di Brett Ratner promette di porre fine ai guai di Wolverine e mutanti assortiti. Possono tornare "normali", a patto però di rinunciare ai loro superpoteri: un dilemma non troppo distante da quelli che le future terapie geniche potrebbero costringerci ad affrontare. La Zampa di Coniglio, invece, è il misterioso ritrovato tecnologico attorno al quale ruotano le peripezie dell'agente specialissimo Ethan Hunt (interpretato da Tom Cruise) in Mission: Impossibile III di J.J. Abrams. Non si riesce a scoprire che cosa sia, ma forse non si sbaglia se si restringe la ricerca al campo delle armi non convenzionali…Una trovata degli sceneggiatori, d'accordo. Eppure accade sempre più spesso che le previsioni del cinema finiscano per trovare riscontro nella realtà. Il caso più clamoroso è forse quello del "giornale virtuale" visto in Minority Report di Steven Spielberg. Era il 2002 e il volto del fuggiasco Tom Cruise (ancora lui, esatto) appariva all'improvviso sul quotidiano che un passeggero stava sfogliano in metropolitana. Una tecnologia che nelle scorse settimane è entrata in fase sperimentale con il progetto iLiad: aggiornamento delle news in tempo reale su un display ultrasottile, in grado da fare da supporto al cosiddetto «inchiostro elettronico». Una coincidenza niente affatto causale, dato che l'intero design avveniristico di Minority Report si basava sulla consulenza fornita da un nutrito gruppo di esperti. A loro si devono ipotesi mirabolanti ma non troppo (il sistema di trasporto urbano su campi magnetici si richiama in effetti ai "supertreni" giapponesi) e il puntuale sfruttamento di possibili brevetti all'epoca già molto chiacchierati. Per non parlare degli ammiccamenti al marketing, tra cui spicca l'appetitoso prototipo di una spider Lexus.Che il cinema g etti lo sguardo del futuro non è certo una novità. Succedeva già all'epoca dell'incantatore Georges Méliès, che nel 1902 fissava sulla pellicola il Viaggio sulla Luna immaginato da Jules Verne, con astronavi simili a salotti e crateri da operetta per descrivere un'impresa che, all'epoca, sembrava del tutto irrealizzabile. Un po' come quella che Bruce Willis e soci sono incaricati a compiere in Armageddon di Michael Bay (1998): piazzare cariche esplosive su un asteroide per impedire che entri in rotta di collisione con il nostro pianeta. Per l'invio di astronauti ci stiamo attrezzando, ma il pendolarismo di una sonda, sul tragitto dalla Terra a un asteroide e ritorno, è cosa fatta e fatta, di nuovo, dai giapponesi. Made in Japan, neanche a dirlo, sono anche i più sofisticati modelli di asteroide, che paiono usciti dai fotogrammi di Io, robot diretto un paio d'anni fa da Alex Proyas sulla scorta dei celeberrimi racconti di Isaac Asimov. Nel film Will Smith si toglieva lo sfizio di guidare una futuribile Audi superaccessoriata, ma dalla linea non tanto diversa da quella dei modelli lanciati sul mercato in contemporanea alla diffusione del film. Sempre più spesso, insomma, il futuro del cinema gioca con il presente dei consumatori, anticipandone i gusti quel tanto che basta per suggerire nuovi abitudini d'acquisto. Nessuno lo ammetterebbe mai, ma ogni volta che manipoliamo un'immagine digitale sul pc di casa ci sentiamo tutti un po' come l'Harrison Ford che, in un'epocale scena del Blade Runner di Ridley Scott (1982), imprimeva al computer una serie di comandi vocali che portavano a "esaltare" i dettagli di un'istantanea.L'alleanza fra immaginario cinematografico e documentazione scientifica percorre a volte sentieri bizzarri, come nel caso di The Manchurian Candidate di Jonathan Demme (2004), dove la sequenza che mostra l'impianto di una ricetrasmittente nel cervello di uno dei protagonisti è stata realizzata facendo tesoro dei consigli di un neurochirurgo. Del rest o, i microchip da piazzare sottopelle - per uso medico, però, e non spionistico - sono entrati nella cronaca poco dopo che il pubblico ne aveva scoperto l'esistenza in un altro Mission: Impossibile, il numero 2, diretto nel 2000 da John Woo. Per vedere qualcosa di davvero implausibile, a questo punto, occorre recuperare il fosco Orwell 1984 di Michael Radford: girato nello stesso anno descritto dal romanzo e ipotizzando un impiego alternativo delle tecnologie disponibili nel dopoguerra (telefoni a disco e posta pneumatica alleati per svolgere il lavoro di un computer, per esempio). Forse, quando il futuro non stupisce più, è arrivato il momento di guardare al passato con occhi diversi.
« Avvenire » del 28 maggio 2006

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