16 maggio 2006

Proposta dagli Usa: sì alla vendita di organi

di Massimo Gaggi
NEW YORK (Stati Uniti) — «Vampiri americani» titola, indignato, il San Francisco Chronicle. L'allarme nasce da un «turismo dei trapianti» che è sempre più diffuso, ma anche dal fatto che un atto dettato dalla disperazione, del quale, però, un tempo ci si vergognava (comprare clandestinamente un rene o un fegato all'estero, nel timore di non sopravvivere alle lunghe liste d'attesa della sanità Usa), sta diventando un comportamento socialmente accettato del quale gli interessati arrivano addirittura a vantarsi.
Il quotidiano californiano cita varie storie come quella di Eric De Leon, un cittadino americano che ha addirittura creato un «blog» su Internet nel quale racconta la sua esperienza: una trapianto di fegato a Shanghai, costato 110 mila dollari. Il donatore? Un detenuto condannato a morte. De Leon non ha crisi di coscienza, nemmeno davanti al sospetto che le esecuzioni vengano accelerate per rifornire le cliniche dei trapianti (la Cina non dichiara nemmeno quante condanne a morte vengono eseguite ogni anno): «Ho degli obblighi con la mia famiglia», il resto viene dopo. In questo clima non deve stupire che negli Usa si stia cominciando a discutere seriamente della creazione di un mercato legale degli organi da trapiantare.
La proposta, avanzata qualche tempo fa dal Nobel per l'economia Gary Becker, è stata rilanciata ieri, con curioso sincronismo, dai liberisti dal Wall Street Journal, ma anche dal New York Times. Il giornale progressista ha aperto la sua pagina dei commenti ad un articolo scritto da Sally Satel, una studiosa dell'American Enterprise Institute, il più celebre tra i luoghi di elaborazione del pensiero «neocon», che ha appena ottenuto (legalmente) un rene «nuovo» ed ora si chiede se non sia giunto il momento di rompere quello che considera un tabù: vendere una parte del proprio corpo. Sul Wall Street Journal Richard Epstein, un professore dell'università di Chicago, non va tanto per il sottile: sostiene che i dubbi etici — se paghiamo per un rene o una parte di fegato non avremo più donatori disinteressati e creeremo un'ulteriore sperequazione a danno dei poveri (impossibilitati ad acquistare organi e, anzi, spinti a diventare donatori) — vanno accantonati davanti alla realtà delle lunghissime liste d'attesa: 18 persone muoiono ogni giorno perché non riescono ad ottenere il rene che potrebbe salvare loro la vita.
Il quotidiano della comunità finanziaria critica l'Institute for Medicine, un organismo governativo, per il suo rifiuto di avviare una revisione delle norme attuali che vietano di cedere un organo — da vivo o dopo la morte — in cambio di denaro. «Solo un esperto di bioetica — protesta Epstein — può preferire un mondo con mille altruisti che donano un organo e 6.500 morti per mancanza di un sufficiente numero di persone altruiste, a un mondo nel quale non ci sono altruisti e non ci sono decessi per mancanza di organi». Sally Satel è meno brutale nel suo approccio: riconosce il peso delle ragioni etiche e pratiche che hanno spinto i Paesi avanzati a vietare fin qui il commercio di organi, ma aggiunge che le liste d'attesa legali che oggi condannano a morte molti pazienti in futuro non potranno che peggiorare: le nuove tecnologie rendono operabile un numero crescente di pazienti, mentre la diminuzione delle morti per traumi improvvisi riduce il numero di organi trapiantabili da soggetti non più in vita (quelli di chi muore di vecchiaia o dopo lunga malattia non sono utilizzabili).
L'anno scorso dei 70 mila americani in lista d'attesa per un rene, solo 16 mila hanno ottenuto un trapianto. Come evitare attese di molti anni? In primo luogo creando un incentivo a dichiararsi donatore in caso di decesso improvviso (oggi meno del 40 per cento degli americani offre la sua disponibilità). E poi, propone la studiosa dell'Aei, creando un «mercato regolato» degli organi. Una via potrebbe essere quella di offrire non denaro ma assistenza sanitaria gratuita, il finanziamento di una buona scuola per i suoi figli e un'assicurazione sulla vita a chi dona un rene. Il rischio che a vendere gli organi siano soprattutto le persone più povere, spinte dal bisogno, secondo la Satel, potrebbe essere ridotto non solo evitando l'erogazione diretta di denaro, ma anche offrendo, ad esempio, sgravi fiscali di cui si avvantaggerebbe solo chi già oggi gode di un reddito superiore a quello di sussistenza.
Anche con tutte queste cautele l'idea del commercio degli organi rimane assai difficile da accettare. Ma nel mondo globalizzato sono ormai molti i Paesi «emergenti» che hanno legalizzato questa pratica e tecnologie e dinamiche demografiche spingono inesorabilmente verso un aumento del fabbisogno di organi da trapiantare. I liberisti sono convinti che le resistenze prima o poi cadranno e sostengono che anche i poveri avranno i loro vantaggi perché con l'apertura al mercato chi può farà da solo e così si accorceranno le liste d'attesa degli ospedali pubblici.

«Corriere della sera» del 16 maggio 2006

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